venerdì 30 aprile 2010

Pensione invertita, vita a testa in giù.


Non ho tempo.
Voglio più tempo.
Qualcuno ne ha molto meno di me, ma non si lamenta.
Quindi - probabilmente - non ne sente la mancanza.
Qualcuno dice che se non lavorasse non saprebbe cosa fare, nella vita.

Probabilmente questo è vero se una persona risulta priva di interessi e di passioni.

Se la curiosità è soltanto un optional della propria vita e non uno dei cardini imprescindibili è naturale che uno del tempo non sappia che farsene.

La pensione dovrebbero darla ai giovani, tipo dai 20 ai 40 anni.
Non sto scherzando.
A 40 anni via a lavorare, fino a 75 anni.
Poi si crepa, anno più anno meno.
Gli anziani dovrebbero mantenere i giovani con i loro contributi, non come ora che è esattamente il contrario.

Si dice che i nostri nonni siano bravi, buoni e molto saggi ma io in giro vedo solo (ed è ovvio che la mia è una provocazione/generalizzazione) vecchietti rintanati nei bar a giocare a carte e bere vino.

Nonne inchiodate di fronte allo schermo a vedere "Forum" su Canale 5, accumulando le proprie giornate come se fossero dei sacchi di letame uno sull'altro.
"Sui giovani d'oggi ci scatarro su", ma probabilmente il merito è tutto dei loro padri/nonni.

Io sono a favore dell'esproprio del tempo libero nei confronti di chi lo getta alle ortiche.
Lo reclamo ad alta voce.
Lo rivendico in maniera antidemocratica, pretestuosa e senza compromessi.
Non ce l'avrò mai.
So solo che a 70 anni non saprò che farmene e lo butterò nel cesso come tutti gli altri.
Né più né meno.

Nei bar a bere calici di vino di bassa lega e a parlare della vittoria dell'Inter in Champions League dopo 75 anni di astinenza della squadra nerazzurra.
E ora mettiamoci al lavoro, che i libri non si scrivono da soli, cazzo.

mercoledì 28 aprile 2010

Quando un riff ti riporta indietro nel tempo


Ho sentito un vecchio amico, per telefono.
Era praticamente un anno che non lo sentivo e quando ho visto il suo nome sul display ho pensato che fosse addirittura successo qualcosa, oppure che volesse segnalarmi un concerto imperdibile.
Non era così.
Mi ha detto semplicemente: "Ciao! allora... come va?".
"Ho sentito una canzone qui in macchina e mi sei venuto in mente tu..., così ti ho chiamato!"
Anche lui è un ex musicista, un chitarrista di enorme talento.

Ci siamo sempre stimati a distanza, abbiamo addirittura sfiorato la possibilità di suonare nella stessa band. Per due volte abbiamo provato insieme.
Poi per colpa di un coglione (all'interno dello stesso gruppo) la cosa non si è consolidata e io sono rimasto con 'sto idiota al posto di andare con lui.
"O me o lui"
In sintesi è stata questa la scelta che ho dovuto compiere e io ho fatto la scelta sbagliata.
Roba da mangiarsi le mani.

La differenza la fanno le persone.
Con il coglione (sopravvalutato a livello umano) non mi sento neanche più.
Invece, l'altro, mi chiama perchè ascolta una canzone e si ricorda di me.
Non c'è paragone, davvero non c'è paragone.
Grazie davvero di avermi chiamato, anche solo per non dirmi un cazzo.

sabato 24 aprile 2010

La rana e lo scorpione, storia vecchia.


Ho dovuto modificare il primo capitolo del mio libro.
Niente di male, direte voi, certo.
Il problema è che l'ho dato in pasto a tutti pubblicandolo direttamente su questo blog (lo trovate ancora nei link).
Adesso mi mangio un po' le mani per averlo fatto, ma che ci vuoi fare...
Nessuna clamorosa correzione, solo una riga in più.
Un particolare sottile ma che cambia le carte in tavola.
Tutto questo agevola lo sviluppo della parte finale del libro a cui ho finalmente deciso di dare un'impostazione ben precisa, agevolata ovviamente da quel particolare indicato nel primo capitolo.

Con questa mossa ho un po' rinnegato un'impostazione iniziale ma a me - in fondo - piace così.
Rinnegare è una parola di cui non ho paura così come - al contrario - ho profondamente paura della parola coerenza.
Posso spalare merda su una cosa che ho sempre amato (sempre che ce ne siano a mio avviso i motivi) ma non posso sopportare di sentirmi incoerente.
A costo di rimetterci del mio...

- C'è uno scorpione sulla riva di uno stagno che cerca di attraversarlo. Incontra una rana e le chiede: "Ciao, mi daresti un passaggio sul tuo dorso dall'altra parte dello stagno? non so nuotare!"
la rana rispose dubbiosa "Beh, potrei anche concederti un passaggio, basta che non mi fai del male...". "Certo che no", rispose lo scorpione "Se lo facessi moriremmo entrambi!"
La rana, convinta dalle parole dello scorpione, lo caricò sul suo dorso ma metà percorso si sentì pungere.
"Perchè lo hai fatto? adesso affogheremo tutti e due!" "Hai ragione", rispose l'animaletto velenoso. "Ma sono uno scorpione. E' nella mia natura, non posso farci niente" -

giovedì 22 aprile 2010

"Solo un cuore spezzato è un cuore puro"


Mi piace questa frase.
Penso che parli dell'amore in maniera completa, evita i trabocchetti del romanticismo.
Va oltre il pensiero comune, pur riconducendosi a una visione del sentimento condiviso da molti.
Ha una potenza di pensiero che fuoriesce dal suo semplice (ma evocativo) significato.
La sua bellezza va oltre.
Riconosco l'imperativo, l'impossibilità di darsi altre possibilità.
La necessità di NON utilizzare il termine infranto.
Abusato, masticato, privo di impatto emotivo.
Qui invece no, si va oltre.
La ripetizione della parola cuore, il grande rispetto per questa parola.
Per come è sistemata, per come è trattata.

Quando trovo frasi di questo tipo l'invidia sala in me in maniera incontrollabile.
Quanto mi piacerebbe fosse farina del mio sacco.
Ma non lo è.
Poi ricerco nella memoria e mi chiedo se esiste una frase che ho scritto che mi piace particolarmente.
La trovo.
E' il titolo del secondo CD (che mi ha visto come autore di testi) del mio gruppo.
L'ho ripresa da una frase del mio primo libro.
Volevo descrivere una situazione di disorientamento sensoriale e mi piace proprio.
Una specie di sensazione temporanea acquisita improvvisamente che il protagonista avverte.
"Suoni opachi su quadri azzurri e gialli".
Mi piace.
Rende bene.
A volte anch'io sono soddisfatto di me stesso
Basta poco, voi direte...

sabato 17 aprile 2010

Wall Street dentro di noi

Avete mai riconosciuto un fallimento nella vita degli altri?
E nella vostra?

A mio avviso riconoscere un fallimento nella propria vita è un fatto davvero apprezzabile, senza controindicazioni e - ne sono certo - certamente produttivo di effetti benefici per il nostro stato mentale.

La maggior parte delle persone si rende conto del vostro fallimento (amoroso, lavorativo, esistenziale, e chi più ne ha più ne metta) e non ne parla per non sottolineare la cosa.

Quale migliore medicina (per voi e per gli altri) se non parlare esplicitamente di questa cosa certificandola?

Palesare una situazione di questo tipo significa uscire dallo stereotipo di "uomo o donna perfetta" che tutti noi tendiamo ad avere, tacendo i nostri difetti, mascherando le nostre ansie e le nostre paure.
Apriamo la porta di casa.
Sputtaniamoci.
E magari ridiamo di noi stessi, visto che a volte è l'unica cosa giusta da fare.

mercoledì 14 aprile 2010

Una divisa, un saluto, un simbolo, riconoscere i propri simili

Gli esperimenti sociologici mi piacciono, lo ammetto.
Il cinema tedesco anche.
Cosa c'entrano queste due cose?

Beh, ieri sera ho visto su Cult "L'onda", lungometraggio tedesco che mi ha ricordato nelle tematiche e nelle modalità di approccio un altro film a mio avviso bello e importante (anche se sottovalutato) come "The Experiment".

Un professore dimostra alla sua classe di studenti come sia possibile tornare ad un regime totalitario. Lo dimostra nei fatti, promuovendo in una settimana una serie di comportamenti finalizzati alla creazione di un vero proprio regime.

Lui stesso finisce per essere succube di questo meccanismo, trasformando la propria classe in un vero e proprio movimento etico-politico con le stigmate del Reich.

Ok, è un film ma c'è tanta verità potenziale in tutta questa faccenda.
Ne emerge un quadro molto vicino alla realtà, fatta di esseri umani votati intimamente a comportamenti repressivi, violenti... come se fosse una sorta di indole che noi tutti nascondiamo sotto pelle, nel DNA di essere umano.

Evidenzia ragazzi in grado di capire e di redimersi, ma anche persone talmente disperate da pensare che il "non avere niente" è molto peggio di "credere in qualcosa di sbagliato".
Un trampolino interessante per una serie di valutazioni che non avevo mai considerato.
E' per questo che l'emarginazione sociale e la mancanza di cultura sono il carburante migliore per un sistema totalitario?
Chi non ha niente può essere facilmente manipolato?
Penso proprio di sì, se si pensa anche all'incapacità di sapere riconoscere un regime, magari anche solo ai suoi albori.
Incapacità di riconoscerlo perchè magari non corrisponde alle "forme tradizionali e storiche" che noi tutti conosciamo.
Ignorando magari l'evoluzione dei sistemi di comunicazione di massa che iniziano a mutare e a imporre i propri modelli calandoli dall'alto.

Gran bel problema, gente.
Gran bel problema.

domenica 11 aprile 2010

Scritto, mangiato, digerito e vomitato.

Libri scritti da musicisti.
In passato molte case editrici hanno puntato sul grosso nome: Ligabue, Zampaglione e chissà quanti altri.
Ovviamente i grossi nomi fanno cassa, ci mancherebbe.
Una scoreggia di Vasco Rossi messa su carta è pur sempre una scoreggia di Vasco Rossi...
Noblesse oblige...

Tralasciando questi casi limite, ritengo che il musicista sia - per sua stessa natura - propenso alla comunicazione e quindi generalmente adatto a questo tipo di esperienza.

Emidio Clementi dei "Massimo Volume" penso sia il più fulgido esempio di scrittore di grande talento, a mio parere un vero punto di riferimento.
La cosa che stordisce dei suoi libri è quello che lui stesso definisce "potenza di parola".
Le sue frasi ti scavano dentro, trovano riparo nell'intestino e lì deflagrano.

Magnifico.

Cristiano Godano dei "Marlene Kuntz" è invece una vera delusione, anzi no.
Me l'aspettavo.
Non è tipo da libri... il suo ermetismo canoro non lo agevola.
Il suo libro "I Vivi" è quanto di più lento, palloso, pretenzioso e insignificante abbia mai letto.
E sono solo racconti, figuriamoci si fosse impeganto a scrivere un romanzo...

Giovanni Lindo Ferretti dei C.S.I. sembrerebbe più adatto a ricoprire il ruolo di musicista-scrittore.
In realtà il suo libro non sono neppure riscito a finirlo.
Non l'ho proprio capito, così come le parole e l'articolazione delle frasi nel contesto narrativo.

E allora mi chiedo: ognuno deve fare il suo mestiere? scrivere dei testi aiuta a scrivere un libro? leggere tanto aiuta a scrivere un buon libro? guardarsi intorno aiuta a scrivere un buon libro?
A ciascuna di queste domande riesco a fatica a dare una risposta, ma quello di cui sono certo è che per fare un buon libro bisogna necessariamente sottostare a una regola (e qui cito Chuck Palahniuk): "Scrivi quello che ti piacerebbe leggere e non hai mai letto".
Ah.... quanto mi piace Palahniuk....

venerdì 9 aprile 2010

Scrittore-contabile: con una valigetta che mi tiene ben legato alla realtà


Ho terminato.
Non fraintendetemi però: ho terminato la parte centrale del libro.
In questi giorni sono votato a due tipi di atteggiamenti che mi fanno ricordare come scrivere un libro sia solo in parte attribuibile alla sfera artistica.
L'altra faccia della medaglia è un'enorme rottura di coglioni: leggere, rileggere, correggere, spremersi il cervello alla ricerca di una parola (e tutto questo in solitudine).
Insomma, una prigione.

Ho fatto leggere quanto finora scritto a un correttore di bozze e - a mia volta - sto correggendo il tutto su carta secondo le sue indicazioni (valide a mio parere per un 20-30%, che è già tanto...) e secondo una mia rilettura "aggiornata".
Man mano che proseguo vado a computer e sistemo il tutto in maniera meccanica.
Alcune parti sono state sistemate, asciugate, sintetizzate.
Sto facendo un lavoro per sottrazione, dopo che in prima battuta (circa sei mesi fa) mi ero concentrato in senso opposto, aggiungendo particolari e sviluppando a fondo concetti e sensazioni.
Trovo che alcune parti siano davvero costruite bene, mentre altre sono un po' macchinose, scivolano via con minor ritmo rispetto a quello che vorrei tenere.
Ovviamente ho cercato di porre rimedio e in molte occasioni (in maniera anche fortunosa) ci sono riuscito.
Dove invece ho fallito mi sono riproposto di non insistere: ci penserò successivamente, nella rilettura finale.

Il secondo atteggiamento mi è stato suggerito dal metodo utilizzato per la scrittura dell'ultimo capitolo.
Ho deciso: non mi siedo più al pc cercando di scrivere qualcosa.
Sto cercando, durante il giorno, di mettere qualche tassello, di scrivere il capitolo in testa prima ancora che su carta.
Sembra funzionare, a patto che non rimanga per troppo tempo con la testa impegnata.
A questo proposito i viaggi in macchina sembrano l'ideale: strada conosciuta, massima tranquillità, musica adeguata rigorosamente ad alto volume.
Per il momento queste sono le novità.
Domani nuovo post su argomento nazional-popolare: alla faccia di chi mi accusa (velatamente) di settarismo e puzza sotto il naso.

lunedì 5 aprile 2010

Non si tema il proprio tempo. E' un problema di spazio

Non ci sono dubbi.
Sono assolutamente certo della superiorità del Consorzio Suonatori Indipendenti (C.S.I.) dal punto di vista estetico, lirico e musicale.

Per chi non lo sapesse i C.S.I. sono un gruppo ormai sciolto degli anni '90, autori di un rock d'autore viscerale, magmatico, poetico, e chissà cos'altro.
Ho fatto un intero viaggio in macchina con i loro primi due dischi ("Ko de mondo" e "Linea gotica") ed era molto che non ascoltavo la loro musica.
La voce di Ferretti è catartica, rigenerante e magnetica.
La Musica è completa, dinamica, densa come nessun'altra.
Ho goduto parecchio nell'ascolto, anzi direi che mi ha fatto sopravvivere al "ritorno in colonna dovuto al rientro dal ponte pasquale".

Per la cronaca non ho fatto nessun cazzo di "ponte pasquale", faccio quella strada quasi tutte le settimane per andare a trovare genitori o suoceri a seconda delle circostanze.

Eppure la coda, per par condicio, me la sono beccata anch'io.
Bene, senza i C.S.I. non ce l'avrei fatta, ve lo giuro.

Ho ricordato quasi tutti i testi a memoria, nonostante non li ascoltassi da tempo.
Poi mi sono soffermato su alcuni passaggi e sono rimasto di stucco, quasi come se non avessi mai sentito quelle parole.
Eppure le conosco da sempre, si vede che fingevo di non ricordarle.
"E' l'instabilità che ci fa saldi ormai negli sradicamenti quotidiani"
Oppure:
"Non si tema il proprio tempo, è un problema di spazio"

Non so che dire.
Probabilmente raramente così poche parole riescono a racchiudere verità così profonde.
Ascoltate "durante il rientro dal ponte pasquale" hanno addirittura un altro significato.
Quello di farmi capire - forse - che c'è ancora molto da capire a questo mondo.
 
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