sabato 27 novembre 2010

Pedrini e Renga duo delle meraviglie




Il rock in lingua italiana l'ho scoperto nel lontano 1994.
Un po' tardi, vero, ma non è che ai tempi girasse molta roba.
In paese tutti ascoltavano i Timoria, e quando dico tutti dico proprio tutti.
All'epoca ascoltavo Pink Floyd e Deep Purple e il quintetto bresciano mi colpì non poco.

"Viaggio senza vento" e "2020 Speedball" mi aprirono un mondo davvero sconosciuto a cui non mi sarei mai avvicinato.
Due grandi album, da contestualizzare nel loro periodo storico, ma indubbiamente due album che ad oggi mi sento di collocare tra i migliori album di rock italiano.
Iniziai a seguirli in tour con una costanza inimmaginabile e alla fine contai 17 concerti visti in tutto il nord Italia.
Fu organizzata addirittura una spedizione oltralpe, in Francia, dove saremmo stati una ventina o forse più.
Non riuscii ad andare a causa di un incidente stradale e quel concerto mi manca ancora oggi.

Martedì sera a X Factor me li trovo tutti e due in televisione.
Non era mai capitato, visto che certo non si erano lasciati senza polemiche.
Francesco Renga ha cantato una canzone così di merda che, pur non avendola mai ascoltata, riuscivo a intuire le parole mentalmente tanto erano banali.
Veramente un insulto alla persona e al musicista che era prima.
Definirei quella di Renga una splendida carriera da solista, da pop star per vecchiette e casalinghe (con enorme rispetto per vecchiette e casalinghe).
Caduto in un baratro dai cui non si alzerà mai più.

Ma andiamo al secondo, che forse è ancora peggio.
Omar Pedrini soffre il successo del suo ex compagno e si vede come non mai.
Ha tentato di tutto nella sua carriera solista, persino le canzonette pop dance, ma il successo non è mai arrivato.
A X Factor lo inquadrano per cinque secondi come membro della giuria di qualità e il microfono non funziona.
Fa la figura del pesce per altri 5-10 secondi e poi il conduttore rinuncia a far sentire il prezioso contributo visti i problemi tecnici.
Si passa a sentire il giudizio di altri, i tempi televisivi sono questi.
Patetica figura smagrita di un artista (?) in cerca di se stesso.

Mi viene in mente un passo della biografia dei Massimo Volume, quando Egle Sommacal dice che in seguito allo scioglimento del gruppo decise per necessità di mantenessi facendo il barista.
Magari fossero finiti così i Timoria.
Magari.
E invece me li ritrovo sempre tra le palle, a chiedermi se il passato fosse davvero tanto splendido oppure se il futuro può davvero distruggere tutto quello che è passato.
Almeno abbiate l'accortezza di non farvi vedere insieme.
L'effetto presa per il culo raddoppia.

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domenica 21 novembre 2010

"Senza Testa" e "ZiDima"


Per chi ha letto il mio primo libro magari non ci sarà bisogno di spiegazioni ma per tutti gli altri (e sono praticamente tutti) vi segnalo un frammento di testo preso da uno dei racconti di "Coni gelato per malati terminali".

Il racconto si intitola "Senza testa" e il frammento è utilizzato da uno dei migliori gruppi indie italiani (ZiDima) per realizzare uno dei loro nuovi pezzi.

Il link e il ringraziamento per la citazione sono d'obbligo...





sabato 20 novembre 2010

Le vostre ore canoniche, le vostre ore contate.




"Le invasioni barbariche" della Bignardi non è per niente male.
L'ho visto ieri sera in un break tra un antibiotico e un antidolorifico.
Si parlava di cambiamento, di mutazioni, di trasformazioni estetiche.
Ovviamente non potevano mancare Paola e Chiara che si sono autodefinite "artiste" probabilmente per il solo fatto di vestire anni '60.
Oltre alla loro prescindibile presenza c'erano due scrittori che non conoscevo (e te pareva... non conosco praticamente nessuno, maledetta ignoranza...) e un blogger con tanto di barba e occhiali.
Bella discussione.
Non ricordo quasi un cazzo di quello che si è detto ma la discussione è stata interessante, ve lo giuro.

L'unica cosa che mi è rimasta veramente in testa è stato un attacco rivolto a uno dei due scrittori che aveva lasciato il posto di dirigente aziendale per rifugiarsi in una piccola casa fuori città per scrivere libri.
Certo, un po' se l'è cercata citando Jack London e Seneca, ma è stato subdolamente tacciato di snobismo.
Quasi preso per il culo, in maniera elegante, ma sempre preso per il culo.
"Molto romantico lasciare il posto da manager per andare per mare a scriver libri..."
Mi ha colpito molto questa cosa.

Lo scrittore l'aveva descritta come una scelta di vita coraggiosa, come un modo per dedicarsi a ciò che per lui era veramente importante.
Mettersi in discussione, provare a migliorare se stesso tramite una forma d'arte, scrivere storie per abbandonare tutto ciò che gli sembrava superfluo.
Poi arriva uno e ti dice: "sì, dai... Lascia tutto e va per mare a fare il Figo, si vede che non c'ha bisogno di pagare l'affitto e l'assicurazione...".

Un po' come quando per dieci anni suoni la chitarra o la batteria, fai concerti e pubblichi dischi e poi arriva qualcuno che ti dice: "vabbè adesso basta fare l'adolescente che suona la chitarrina per farsi bello con le coetanee... C'è da comprare casa, fare carriera in ufficio e diventare adulti come tutti gli altri"

Saranno gli antibiotici e gli antidolorifici che sto prendendo, ma mi viene da vomitare.
Incasellatevi voi, pezzi di merda, ma lasciate almeno stare chi non lo vuole fare.
Morite voi di questa vita di merda.
Qualcuno ha altri programmi.
E sul fatto che siano migliori non ci sono dubbi.


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sabato 13 novembre 2010

Dove sono le Luci della Centrale Elettrica?




A volte le delusioni arrivano quando meno te le aspetti.
Attendi un disco da un anno o forse più e poi finalmente arriva.
Hai una stima per lo più illimitata nelle capacità dell'artista, nella sua intelligenza.
Poi ascolti il disco e ti cade il mondo addosso.
Non mi "raccapezzolo" più, davvero.
Sarà una cosa da coglioni ma io le delusioni le vivo anche così, con amarezza.
Che poi un'altra persona potrebbe obiettare che queste non possono essere considerate delusioni, che un disco è una cazzata che non conta nulla.
Va bene, sono d'accordo, ma io -che ci volete fare- me la vivo così.

Il nuovo disco de Le Luci della Centrale Elettrica non esiste.
Praticamente non è stato pubblicato.
È identico al precedente in maniera immorale, indecente.
Una specie di insulto all'intelligenza dell'ascoltatore.
Si tratta di una specie di lato B del precedente (e bellissimo) "canzoni da spiaggia deturpata".
Stesse atmosfere, stessi arrangiamenti, stesso approccio musicale.
Addirittura le parole si sovrappongono in maniera imbarazzante a quelle del precedente lavoro.
Riconosco addirittura le stesse parole, qua e là sparse tra le canzoni.
Il precedente disco era originale, a tratti rivoluzionario.
Questo di conseguenza è stantio, vecchio, già sentito 100 volte dopo il primo ascolto.
Senza nulla da scoprire.

Viene da pensare che Vasco Brondi sia un musicista sopravvalutato.
Che ci siamo tutti sbagliati.
Che non vale un cazzo.
Che altri, al suo posto, avrebbero sfruttato il grosso successo del precedente disco per alzare lo sguardo, guardare oltre, osare per confermarsi.
A mio avviso bastava poco, magari anche solo un cazzo di batteria, mica chissà quale orpello o pozione magica.
Oppure cercare di non battere ancora lo stesso tasto con i testi che, francamente, adesso hanno davvero rotto i coglioni.
Avevamo capito tutto con il precedente disco, Vasco.
Non avevamo bisogno di lezioni di riparazione, era già tutto abbastanza chiaro.
Mi vengono in mente artisti che hanno avuto il coraggio di cambiare per non risultare macchiette.
Magari all'inizio ci hanno rimesso, ma nel medio periodo è stata la loro fortuna.
Mi viene in mente, per esempio, "Non è per sempre" degli Afterhours oppure "Uno" dei Marlene Kuntz.
Roba diversa, probabilmente.
Arrivederci Vasco, se riuscirai mai a capire il tuo errore madornale ci rivedremo.
Altrimenti ti incasellerò mestamente tra le delusioni cocenti del mio armadio musicale.

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martedì 9 novembre 2010

L'interpretazione dei sogni




Titolo del post un po' paraculo.
Serve ad acchiappare qualche contatto da Google, quindi se siete capitati qui per questo strano meccanismo potete tranquillamente continuare a leggere pur sapendo che non si centrerà in pieno l'argomento.
Poi non dite che non siete stati avvisati.

Preambolo doveroso:
Mi sveglio più volte a notte per mettere il ciucio a mia figlia che ormai ha superato i 5 mesi.
A volte mi alzo in continuazione, se va male anche sei-sette volte a notte.
Sollevo le mie chiappe e subisco un'ondata di gelo terrificante, senza mezzi termini.
Non dormo con il pigiama e purtroppo pago questa abitudine temporanea.
Inforco le ciabatte, posizionate con cura in modo da poterle trovare agevolmente e mi avvio verso il Generale Inverno della stanza attigua.
Infilo il feticcio nella bocca di mia figlia e via, si ritorna a letto con la speranza che sia davvero l'ultima volta.

Sono amante dei sogni, mi piacciono moltissimo.
Intendo quelli a occhi chiusi.
Invece a quelli a occhi aperti non credo minimamente.
L'altra notte ho sognato di entrare in uno splendido pub inglese, pieno di divanetti di velluto scuro. Fuori i rigori dell'inverno, la neve.
Le temperature sotto zero.
Mi accomodo, la musica è soffusa ma efficace.
Ho sete, di quella sete alcolica a cui è difficile dire di no.
Guardo fuori dalla finestra e vedo un tavolo imbandito di cocktail caraibici con frutta fresca, pronti da gustare.
Devo solo alzarmi, abbandonare il mio tepore e gettarmi nella mischia del freddo per raccogliere quanto desiderato.
Lo faccio.
Poi torno all'interno e mi gusto con soddisfazione la meritata ricompensa.
Che sogno splendido, che meraviglioso momento di relax...
Poi sento un fastidioso rumore, una specie di sirena provenire dall'interno del pub.
Mi chiedo cosa stia succedendo ma è un attimo, giusto qualche secondo.
Devo alzarmi.
Francesca è di nuovo sveglia e ha bisogno di me per riprendere sonno.
Penso che non sia necessario richiedere a Freud il significato di questo sogno.
Penso che inserirò senza dubbio un sogno all'interno di "Io mi carico di rabbia"
Un sogno irreale e maturo.
Apocalittico e malinconico.
Affare fatto.

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martedì 2 novembre 2010

Facebook, privacy e pannolini. Il disastro è servito


Esce il nuovo film di Fincher e per me è sempre un piccolo evento.
Ho amato alla follia Se7en, Fight Club, The Game, Zodiac e non solo.
Questa volta però, se non fosse stata per la stima sconfinata che ho per questo regista, sarei rimasto davvero dubbioso.

"The social network" non mi attira per nulla e andrò a vederlo prevenuto.
Non capisco come possa uscire una storia interessante dalla vita di un nerd americano amante di computer, ma a quanto pare sembra che il film valga davvero, al di là delle premesse a mio avviso non proprio brillanti.
Vi saprò dire.

Non capisco come facebook possa ispirare un regista di tale livello ma, a dire il vero, non capisco neppure come facebook possa essere arrivato a questo livello di popolarità.

Conosco gente che straccia gli scontrini della spesa in mille pezzetti, evita di lasciare tracce interpretabili nella spazzatura occultando le cose più sconvenienti per poi sputtanarsi sul proprio profilo senza mezzi termini di fronte a conoscenti, amici e a perfetti sconosciuti.
La privacy sul faccia-libro è schiacciata e umiliata.
La polizia può entrare in tutti i profili grazie al consenso del colosso americano (che se n'è ben guardato dall'informare gli utenti) e tutte le informazioni sono vendute a inserzionisti e multinazionali.
Gusti sessuali, pareri politici, preferenze alimentari...
Tutto viene condiviso.

Non pensiate che i vostri datori di lavoro non siano mai andati a fare delle ricerche sul vostro nominativo, pura utopia.
Curriculum mandato? State certi che un giro sulla rete e su facebook si fa senza problemi, tenendo presente che sbloccare la visibilità di un profilo non è per niente un problema.
In edicola ho visto persino un giornale che giurava di spiegare come fare a recuperare user e password smarriti...

Poi c'è chi proprio non capisce proprio un cazzo.
Qualcuno che lavora in un asilo nido come maestra e riempie il suo profilo di foto dove viene immortalata con bicchieri di coca-whiskey, con boccali di birra da un litro e con espressioni inequivocabili di serate ad alto tasso di divertimento alcolico.
Magari sarà la migliore maestra del mondo, ma io a una così mia figlia non gliela lascerò mai.
Non tanto perché penso che abbia dei comportamenti sconvenienti.
Non sono così bacchettone da pensarlo.
Ma quanto perché penso che non abbia cervello sufficiente per accorgersi di ciò che sta combinando con la sua privacy.
Meglio una maestra con poca esperienza che una maestra con poca materia grigia, diamine.

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