venerdì 27 aprile 2012

Non si esce vivi dalla Padania

Il nuovo disco degli Afterhours merita.
Partiamo da questo semplice presupposto.
Dopo quattro anni il gruppo indie italiano più influente di sempre (magari non tutti penseranno che è il migliore, magari non tutti penseranno che è il più rappresentativo della categoria ma solo un pirla potrebbe pensare che non sia in assoluto la band più influente sul movimento rock italiano degli ultimi 20 anni) esce con un nuovo disco.
Ho letto diverse interviste ma quella che mi ha colpito di più riportava un passaggio interessante.

Si diceva che le canzoni erano già pronte un anno fa, quasi tutte.
Che la struttura era praticamente fatta.
E allora uno si chiede: "E che cazzo avete fatto in tutto questo tempo?"
Semplice, risponde Agnelli.
Ci siamo fermati e abbiamo cercato di dare un filo conduttore al disco, di dargli sostanza, di dargli corpo concettuale, di plasmarlo e dargli un senso.


La cosa più interessante di "Padania" a mio parere è proprio questo aspetto, a cui non ci si arriva subito ma solo in un secondo momento e forse anche in un terzo.
Il settimo album in italiano degli After è un magma sonoro bagnato di parole, qualcosa di coeso, studiato e lineare.
Allo stesso tempo si tratta però di un groviglio, di un labirinto di idee.
Che vanno pazientemente valutate e inserite come in un puzzle al posto giusto per avere il quadro di insieme.
E' questo il bello di questo disco.
E' un disco che ti dice qualcosa, se lo stai ad ascoltare.
E se stai attento, ovviamente.
Una specie di "message in a bottle"
E questa è una novità assoluta per il gruppo di Manuel.
Sotto questo punto di vista è di gran lunga il miglior manifesto che potessero fare.
Un album politico, una scheggia nell'occhio di chi ascolta.

Ovviamente ci sono canzoni che non mi piacciono per niente in "Padania" ma questo è un dettaglio.
Il dire "mi piace quella-non mi piace quell'altra" lascia il tempo che trova.
Qualcuno dice che il rientro di Xabier ha inciso moltissimo in questa nuova ripartenza del gruppo.
Agnelli dice al contrario che questo disco suona così non perchè c'è Iriondo ma perchè c'è anche Iriondo.
E per sfatare questa voce fa notare una cosa che avevo già colto nei crediti del disco.
Xabier suona in meno della metà dei brani del disco.
Ovviamente è altrettanto palese come la sua presenza abbia sbloccato la creatività degli altri componenti del gruppo, primo fra tutti il violino noise di D'Erasmo
Li abbia portati a non avere paura.
A osare.

Poi, dal punto di vista concettuale, la fatica è tutta di Manuel.
Magari i suoi assoli in "La tempesta è in arrivo" fanno davvero cagare (è quello che penso) oppure il cantato di "Giù nei tuoi occhi" è davvero fuori luogo (altra cosa che sembra facile sottoscrivere) ma il disegno complessivo e l'impianto concettuale del disco è pazzesco, monumentale e tremendamente creativo e reattivo.
Mettici che il disco è una totale autoproduzione e il pranzo è servito.
Comprare mi raccomando...
Comprare...

P.S. Nella classifica degli album più venduti il disco è entrato direttamente al N.2. Anche questa volta quella "Gran M." di Biagio Antonacci ha avuto la meglio entrando al N.1.

venerdì 13 aprile 2012

Diaz. Non lavate questo sangue





Amnesty International l'ha definita come la più grave sospensione dei diritti democratici in un Paese occidentale dopo la seconda guerra mondiale.
Dopo Piazza Fontana, l'Italicus, Ustica, Piazza Loggia è uno dei fatti più aberranti che siano accaduti in questo Paese.
A tracciare finalmente una linea guida è un film splendido e spiazzante, in questi giorni nelle sale.

Dovrebbero far entrare tutti gratis, dico io.
Farlo vedere senza biglietto a tutti, soprattutto ai ragazzi ma anche ai nostri nonni.
Per vedere come ci siamo conciati, dove siamo potuti arrivare senza accorgercene.
Come nessuno è stato punito.
Come in Italia raramente le responsabilità delle forze dell'ordine hanno trovato Giustizia.

La cosa che toglie il fiato è che tutto il film si basa sulle ricostruzioni della magistratura e sugli atti processuali, tant'è che si può tranquillamente definire una ricostruzione fedele dei fatti accaduti.
Stare lì seduti, in poltrona e vedere come la polizia abbia sviato, tramato, costruito false prove per giustificare una macelleria messicana d'altri tempi è a dir poco sconvolgente.

Le pozzanghere di sangue nella Diaz? Dovute a ferite pregresse dei Black Block che vi si rifugiavano. Motivi per irrompere nella scuola? La presenza di armi e bombe molotov. Abbiamo picchiato? Solo reazioni a tentativi di resistenza da parte degli anarco-insurrezionalisti presenti nella scuola.

I magistrati hanno invece accertato che il sangue fu sparso proprio dalla celere e che non c'erano Black Block nell'edificio. Che le armi ritrovate non erano altro che martelli e picconi rinvenuti nel cantiere a fianco per la ristrutturazione della Diaz. E che le famose bombe carta erano state portate lì direttamente dalla polizia per creare false prove. E questo su confessione di uno stesso agente.

Alla fine della proiezione una ragazza vicino a me piangeva a dirotto, consolata dal suo fidanzato. Una persona di fronte si è alzata e ha fatto il gesto della P38 che per un attimo si è stagliato in controluce, rimbalzando con aria sinistra sui titoli di coda.
È questo quello che vogliono che la gente faccia.
Piangere e sparare.
Piangere e sparare.
- Postato con Blogpress da iPad

lunedì 9 aprile 2012

Heidi, le caprette ti fanno il dito medio

Sono nato in montagna. Alta montagna.
Di quella montagna così alta che quando si parla di questa cosa con gente del fondo valle o della città sembra che serva un intero girone infernale per arrivarci.
E per viverci.
"Ah la strada!! tutta curve... ci si impiega un botto... ma dov'è di preciso?? ma cosa facevi quando eri lassù??"

Secondo te cosa ci facevo lassù? ci vivevo come tutti no?
Si riesce a sopravviviere anche con il cinema e la discoteca a 50 km.
Magari non sei al massimo, ma ci vivi lo stesso, cazzo.
Te l'assicuro.
E poi con le capre non ci ho mai dormito, anche perchè il mio paese fa più di 4.000 abitanti, mica 200.

Poi vedo tanti dei miei amici rimasti in paese o transfughi come me che parlano della vita di montagna come di un elisir di lunga vita.
"Ah quando torno tra i miei monti..." "Ah l'aria della Valle..." "Ah quando inforco gli sci..." "Ah quando vedo la neve... "Ah quando sento la..."
E che coglioni.
Lasciatemelo dire, che due coglioni.
Quasi quasi preferisco essere guardato come un montanaro con la gerla sulle spalle da un bresciano amante dell'aperitivo in Piazzale Arnaldo che ritrovarmi intrappolato in un immaginario di questo tipo.

Ho assistito personalmente a disamine tra sessantenni pensionati su dove è opportuno posizionare gli accenti nel dialetto camuno scritto, perdere ore nel disquisire sulla necessità di organizzare intorno a un tavolo i "maggiori intellettuali camuni" (??) al fine di valutare le origini della tradizionale "salcazzo" parola in dialetto di cui sono ancora poco chiare le fondamenta.
Mentre ci sarebbe da interrogarsi su ben altro nella vita, magari allargando "leggermente" le vedute e le prospettive al di là del proprio piccolo paraocchio.

Invece tutt'altro.
Le uniche iniziative culturali sono finalizzate alla promozione del formaggio caseario, alla tutela della vacca bruna dell'Adamello o del Porcino secco.
Per non parlare delle iniziative turistiche del periodo estivo.
Commedie dialettali di quattro ubriaconi strampalati e concerti di avvinazzati con la fisarmonica che si fanno chiamare "maestro".
Orchestre di liscio che imitano quelle emiliane pur non avendone né tradizioni né indole.
Presentazioni di libri di poesie in dialetto sulla vita contadina dell'ottocento nelle malghe alpine sopra i 2500 metri nelle giornate primaverili della settimana di Pasqua alle ore 11.45.
Libri sfornati ovviamente grazie al contributo del Comune e della Comunità Montana che li riconosce come opere artistiche finalizzate alla promozione del territorio.

Ma va a cagà, va.
Questa è l'unica frase in dialetto che mi esce bene.

mercoledì 4 aprile 2012

Ho sempre sospettato di essere un coglione. Ora ne ho le prove.




Qualche giorno fa mi hanno detto che un tizio che conoscevo è morto.
Non so cosa mi sia capitato ma subito dopo aver appreso la notizia ho applaudito.
Il personaggio in questione era davvero uno stronzo.
Mi aveva usato per i suoi scopi e poi aveva tentato (parzialmente riuscendoci) di mettermela nel culo.
Mi ero sbattuto per lui, avevo cercato un rapporto serio e professionale e gli avevo anche fatto avere dei vantaggi che certo non meritava.
Alla fine aveva tentato palesemente di farmi le scarpe, e questo solo ed esclusivamente per questioni di rancore con persone appartenenti alla mia famiglia.
Voleva farmela pagare per colpe non mie, nonostante io non c'entrassi nulla e avessi fatto di tutto per aiutarlo nel suo lavoro cercando un rapporto tra me e lui, tra uomini.
Tutto inutile, alla fine la bastardata l'aveva fatta comunque, da vera testa di cazzo dall'inconfondibile DNA.

Quell'applauso però mi ha lasciato stupito di me stesso.
Le stesse persone che erano con me sono rimaste di stucco, attonite.
Io ho cercato di giustificarmi, dicendo subito che scherzavo.
Ma non era così.
Non scherzavo affatto.

Sono giorni che sono divorato dai sensi di colpa.
All'inizio pensavo che - dopotutto - non dovevo vergognarmi di un sentimento umano come l'odio e che forse era meglio la cattiveria dell'ipocrisia.
Dopotutto uno stronzo vivo si tramuta inevitabilmente in uno stronzo morto.
Poi però mi sono tolto la coperta di Linus del mio ego e sono giunto alla conclusione che lo stronzo in realtà sono io, ed ho ottimi motivi per pensarlo.

Che cazzo di persona è quella che applaude alla morte di un altro essere umano? Che cazzo di persona è quella che non riesce a digerire un contrasto e un tradimento neppure di fronte ad una bara, dove ci sono moglie e figli che piangono una persona che amavano?
Non so che cazzo dire, se non che ho avuto la dignità di mettere in piazza con un gesto orrendo un sentimento di cui molti avrebbero semplicemente paura.
E che, in ogni caso, rappresenta tutto il peggio di me.
L'unica magra consolazione è che c'è sempre spazio (e tempo) per diventare una persona migliore.
E il primo passo è rendersi conto di essere stato un maledetto coglione.

- Postato con Blogpress da iPad
 
Free Hit Counter