giovedì 31 ottobre 2013

La musica rock fa male. A voi.




Mia figlia di 3 anni ama le chitarre distorte.
Le piace il suono.
Quando le sente fuoriuscire dal mio lettore CD mi dice sempre di alzare il volume e inizia a fare sì con la testa, una specie di headbanging primordiale ma significativo della soddisfazione che prova.
Da notare che mia moglie le fa ascoltare pop melodico di discreta qualità, mentre a volte in casa dei miei suoceri gira anche un simpatico CD di canzoni di chiesa (che ha avuto in passato anche il suo successo, per carità...)
La zia di solito le fa sentire latino-americano, visto che è una ballerina appassionata del genere.
Insomma, di musica ne sente a sufficienza e nulla disdegna.

Ma quando partono i Ministri, i Led Zeppelin, gli AC/DC gli occhi hanno un'altra espressione. Tra l'altro non si tratta neppure di musica che ascolto di frequente (i miei gusti sono altri, anche se apprezzo i tre gruppi di cui sopra) ma ormai qualche CD devo per forza tenerlo in macchina per accontentarla.
Mi dice: "da grande suonerò la batteria, anzi no! Il basso! No! La chitarra!"
Insomma, non sa neppure cosa siano, ma le chitarre distorte bloccate e i "riff pestoni" le piacciono assai.

Dico queste cose alla mia nuova compagna di scrivania.
Le dico così, come banale argomento di conversazione, come curiosità.
Come punto di orgoglio di un padre nei confronti di sua figlia piccola.
Cose così.
Questa mi risponde: "le piace il rock duro perché le farai ascoltare solo quello. Sei chiuso nel tuo mondo, ti crogioli nel tuo rifugio. Falle ascoltare la musica classica, ai bambini piace la musica classica. E poi le farà bene"
Mi parte un attacco di pellagra.

Non discuto sulla bontà della musica classica, non è questo il punto.
Non ho la fortuna di essere stato contagiato dalla passione per questa musica.
Sono uno di strada, io.
Mi viene da ridere (anzi, mi imbestialisco) quando sento per l'ennesima volta il ritrito accenno alla presunta inferiorità culturale della musica rock.
Lo stereotipo più banale, anacronistico e privo di dignità che io abbia mai sentito, ovviamente dopo quello che "le donne sono brave solo in cucina" e che i "negri hanno la musica nel sangue" (Calderoli docet).

Ebbene sì, ragazzi.
Ascolto musica che va dal metal sanguinario all'avanguardia di destrutturazione dei suoni (e naturalmente tutto quello che ci sta in mezzo).
Tanta musica, forse troppa.
E la ascolto tentando di capirne le radici, le fondamenta, i principi di costruzione.
Poi arriva il primo pirla che ascolta un quarto d'ora di Mozart alla settimana (magari sentito in qualche pubblicità in televisione) e mi viene a fare il predicozzo sul fatto che la musica rock è settaria, deviata, ghettizzante e io sono il suo profeta malato di fronte alle necessità di mia figlia (che tra l'altro ascolta davvero di tutto e non è da me influenzata oltre il limite di quello che fanno gli altri soggetti con i quali entra in contatto quotidianamente).

Non rispondo alla provocazione.
Dico solo che un "coglione" come Marilyn Manson, un "palancaro" senza dignità, un indegno provocatore delle masse ha dato secondo me una delle risposte migliori che abbia mai sentito su un tema scottante e drammatico.
Sul tema della strage della Columbine a Denver, accusato di averla provocata indirettamente con le sue canzoni, gli era stato chiesto: "Signor Manson, che cosa direbbe a quei ragazzi artefici della strage, quale sarebbe la prima domanda che farebbe loro?"
Lui, truccato come un pagliaccio e vestito come un pipistrello stuprato aveva risposto così, dopo qualche secondo di silenzio.
"Non direi loro nulla. Mi metterei seduto e ascolterei quello che hanno da dirmi"

"Papà alza ancora, di più!"
E io che giro la manovella in senso orario.
La guardo nello specchietto retrovisore.
La testa va su e giù e gli occhi brillano.
Urlo e inizio anch'io a buttare su e giù la testa.
"Di più! Di più!"


- Postato con Blogpress da iPad

giovedì 10 ottobre 2013

Sonno alieno: il cervello risponde

“Vince chi resiste alla nausea.
Chi perde meno”
Questa frase mi gira in circolo da qualche giorno ma non ho la testa per sopportarla.
D’altra parte ho la necessità di iniziare a delineare in testa alcuni personaggi e ho scoperto che mi piacerebbe caratterizzarli in maniera tale da attribuire loro alcuni elementi anomali.
Mi interessa esplorare la realtà deformata nel tempo e nello spazio.
Ma con i piedi assolutamente ben piantati nel fango della consuetudine.
Ho scoperto leggendo qua e là che esiste una forma di sonno chiamato “polifasico”.

Noi tutti dormiamo in maniera “monofasica” (a meno che non facciamo il pisolino la domenica pomeriggio dopo aver mangiato come maiali e bevuto alcol come cisterne), mentre i bambini più piccoli riposano con il sonno “bifasico”, cioè due volte al giorno.
Esiste però una terza modalità di riposo, molto estrema e sperimentale ma – pare – del tutto fattibile e ugualmente riposante nonché addirittura più razionale e produttiva per il cervello.
Il sonno “polifasico”, appunto.

Questi consiste nel dormire ogni 6 ore per 30 minuti esatti, quindi complessivamente nell’arco di 24 ore soltanto per 120 minuti. Ciò comporta un guadagno (rispetto alle 8 ore canoniche di sonno) di ben 6 ore di vita vissuta al giorno. In questo modo si distrugge il concetto ciclico del susseguirsi del giorno e della notte e la vita viene interamente vissuta in maniera univoca e omogenea, senza quel “piccolo letargo” che caratterizza le nostre notti.
Ma com’è possibile che tutto ciò sia fattibile? Il nostro cervello non ne risente?

Assolutamente no e questo è stato provato scientificamente.
Al di là di un periodo di adattamento (circa due settimane) dove il soggetto si fa forza per seguire rigidamente la tabella sopradescritta (con obbligo di dormire e obbligo di risveglio ogni 6 ore per 30 minuti) e nel quale - è inutile negarlo - ci sono notevoli disagi, il cervello successivamente si adatta.
Le fasi del sonno leggero (quello iniziale) e del sonno pesante (quello terminale vicino al risveglio) vengono progressivamente abbandonate a favore dell’unica fase realmente importante per il benessere dell’individuo e in particolar modo del suo cervello: la fase R.E.M.
Quindi, in sintesi, le due ore complessive di riposo nell’arco delle 24 ore sono sufficienti per garantire al massimo tutte le funzioni vitali dell’individuo.
Il cervello impara ad entrare immediatamente nella fase R.E.M. nel giro di qualche minuto e la fase del sonno profondo viene eliminata con il risveglio dopo mezz’ora.

Questo sistema di riposo è quello adottato per esempio dai cani e dai gatti (i frequenti riposini che tutti noi riscontraimo) e sembra che appartenga alla parte naturale e primordiale del sonno degli uomini.
Solo il cosiddetto “sonno moderno” ha portato l’uomo a dormire in maniera monofasica e a “gettare nella spazzatura” interi anni di vita “non vissuta”.
Interessante vero? Come potrebbe risultare la vita di un individuo che ha deciso di attuare questo tipo di sonno? Quale sarebbe la sua percezione della realtà? Questi interrogativi mi stuzzicano e mi inquietano al tempo stesso.
Penso che approfondirò la cosa in modo tale da inserire questa caratteristica in uno dei miei personaggi.
Per ora vi lascio con questo interrogativo: avete paura? La cosa vi sconvolge?
Lo storpiamento della realtà è tutta legata al nostro cervello e al tempo in cui viviamo e domiamo.
Superare questa barriera potrebbe essere un punto di non ritorno.

sabato 5 ottobre 2013

Aspettando i Barbari



Fulmini che cadono sui tetti che distruggono tutto quello che incontrano, infiltrazioni di acqua nelle pareti, gruppi musicali che si sfaldano, amministratori di condominio conniventi, lavori non più praticabili, risvegli notturni, denunce ai carabinieri, cigar club da fondare, baby sitter da ricostruire.
Tutto questo e molto altro in queste settimane di fuoco.
E c'è chi giustamente mi bacchetta e mi dice che il blog va portato avanti.
E allora mi cospargo il capo di cenere e mi metto qui a scrivere in una sala fumatori di provincia mentre fumo un nicaraguense che non mi dà tregua, con il sottofondo di Emma Marrone in televisione e un bicchiere di acqua tonica depositato su un improbabile tavolino di legno martoriato da scritte e incisioni rupestri.

Un viaggio perfetto, però.
Stamattina.
Esce il nuovo disco dei Massimo Volume e per me è un evento pari a quello di una nuova vita. Lo ascolto in macchina, con la consapevolezza che è il frutto di intelligenze artistiche superiori, con le quali si deve per forza avere a che fare.
Il disco è pazzesco, i testi sono enormi.
Vorrei avere soltanto un decimo del talento che hanno questi tizi vestiti male e con le barbe lunghe scompigliate.
Solo un decimo, e sarei già una persona felice.
Questi riescono a toccare le corde della vita come nessuno ci riesce: le pizzicano, ci nascondono i loro tormenti e le loro riflessioni prive di morale e le danno in pasto a chi le vuole, a chi decide di guardare in faccia quello che siamo veramente e al circo che circonda le nostre esistenze, belle o brutte che siano.
Gli uccelli che camminano di notte sui nostri tetti lasciano impronte di metallo, cantano/recitano
E hanno ragione.

Tutto gira intorno a quello, quello che siamo e quello che non siamo.
Quello che vorremmo essere e che non possiamo essere.
Un disco che scava nei meandri più profondi delle nostre contraddizioni e dei nostri limiti di esseri umani catapultati in questo 2013 di inizio millennio.
Come quando si parla del sapore della solitudine fatta di oggetti tutti al loro posto che non avremmo mai voluto comprare, del fatto che si può vincere perdendo poco, della necessità di braccare il nemico quando si ritira e si accampa, nell'obbligo di ritirarsi quando questo avanza inesorabile.
Si cita Mao, John Cage, l'intellettuale non violento Dolci teorico dello sciopero al contrario.
I lavoratori scioperano.
E i disoccupati lavorano al posto loro per quella giornata.
Così, tanto per ricordare che tutti esistono e battagliano a loro modo.
L'unica cosa da fare è non appiattirsi come zecche.
Comode, riservate.
Prive di scopo, accucciate nel loro habitat.
Italia 2013.

E io smetto di ascoltare e ritorno al titolo di questo capolavoro.
"Aspettando i barbari".
Arriveranno.
E noi ci acconceremo allo specchio per accoglierli come essi meritano.
Con il coltello tra i denti e la lama luccicante pronta ad affondare i colpi uno dopo l'altro.
E io mi sento pronto a scrivere un nuovo libro.
Per me e per chi vorrà leggerlo.
Ma prima di tutto per me.
- Postato con Blogpress da iPad

 
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