venerdì 30 dicembre 2011

The Money Drop: e siamo tutti milionari


Mia moglie si occupa di dipendenze.
E' psicoterapeuta.
L'altro giorno mi passa un libro e mi dice: leggi da pagina "x" a pagina "y".
Il testo tratta la più preoccupante forma di dipendenza degli ultimi 20 anni, o per lo meno quella che è destinata a crescere con maggiore intensità.
La dipendenza da gioco d'azzardo.
Sì, sì... lo so...
Giocare qualche volta al superenalotto o al gratta e vinci non è poi una tragedia ma... ne siete poi così sicuri?
Sul libro si parla delle possibilità di vincere il premio da un milione di euro al gratta e vinci.
Se mettessimo in fila tutti i "grattini" da Bolzano a Reggio Calabria, come una specie di autostrada della fortuna, solo uno sarebbe il biglietto vincente.
La probabilità risulta quindi essere dello 0.0000176%
Sì, avete letto bene.
Eppure l'italiano corre a comprare il tagliandino da grattare con la moneta, quasi come se si sentisse predestinato, come se sentisse di meritare altro.
In realtà meritiamo di solito quello che siamo, e forse - vista la nostra intelligenza - neppure quello.

Così rimaniamo affascinati dal bonus di benvenuto di 300 euro del Casino "On Line" di William Hill, oppure da Miccoli che dice in televisione "Bello vincere in casa!"
Un po' meno perdere, aggiungerei io.
Come capita sempre, d'altronde.
Buffon ci invita a sfidarlo a poker su decine dei più importanti siti, in televisione e sui giornali.
Le agenzie sponsorizzano squadre di calcio di serie A e martellano con la pubblicità quasi a livello delle compagnie telefoniche.
Il businness è enorme e ci stanno spennando, con il sorriso sulla bocca e il luccicchio tipico dei diamanti falsi e dei cervelli sopraffini che hanno escogitato lo stratagemma.

Qualcuno ha mai sentito dire la fatidica frase "ho perso a poker on line?"
Ovviamente nessuno.
Tutti con il saldo in pareggio o in attivo.
"No, no.... mi sta andando bene... sono ancora sopra di 200 euro..."
Vedremo tra un po' di tempo come sarei messo amico, e ricordati che il banco vince sempre.
In tutto questo marasma lo Stato cosa fa?
Incamera le briciole di tutto questo fiume di denaro.
Percentuali (al contrario di quello che si può pensare) inferiori al 10%.
Anzi, a dirla tutta le percentuali sono a scendere con l'andare degli anni a venire.
Bravo Tremonti.
Incredibile, vero?

Poi arriva su Canale 5 "The Money Drop" condotto da Gerry Scotti.
Un milione di euro (vero!) sul tavolo da gioco in banconote da 50 euro.
I concorrenti sbavano, impazziscono, esultano per avere dato una riposta esatta che neanche un bambino da 5 anni avrebbe sbagliato.
Il contatto fisico con il denaro è straniante, imbarazzante quasi demoniaco.
I loro occhi sono lì a dimostrarlo.
Ovviamente portare a casa anche solo 25.000 euro sarà un'impresa titanica ma questo a loro non importa.
Il milione di euro è lì.
Vedono il denaro e per la prima volta lo toccano, ne sentono il profumo.
Anche il telespettatore ha la stessa sensazione.
E poi, quasi narcotizzato, si attacca al PC per un'innocua partitina alla roulette.
Ho l'impressione che mia moglie guadagnerà bene negli anni a venire.

lunedì 26 dicembre 2011

A Santo Stefano sono un po' caustico.


A casa dei miei suoceri c'è l'abbonamento a "Famiglia Cristiana", così qualche volta lo prendo in mano e lo leggo.
Settimana scorsa nello Show di Fiorello si vede che è volata qualche battuta sull'uso del preservativo e sappiamo tutti cosa ne pensa la CEI.
La ricetta è chiara: non vuoi prendere l'AIDS? non trombare.
Punto.
Vorresti trombare senza prendere l'AIDS grazie al preservativo?
Non se ne parla neppure, lussurioso dei miei coglioni.

Lo show di Fiorello lo vede un botto di gente e il messaggio sulla prevenzione si vede che non piace a Famiglia Cristiana che - ovviamente - ribadisce la sua posizione fatta di castità e forza di volontà.
L'Africa non fa eccezione.
Non si deve scopare neanche là.

In redazione arrivano parecchie lettere al direttore (tal Don Antonio) che risponde prima pubblicandone un paio, (come dire: visto che apertura mentale? pubblichiamo anche chi non la pensa come noi...) infine mettendo il "sigillo conclusivo" alla questione con il suo intervento.
Cos'ho da dire in proposito? assolutamente nulla.
Posizione diverse, entrambe legittime.
Una posizione è semplicemente pericolosa per il futuro del mondo, dai tratti reazionaria e contro ragione.
La seconda è fondata sulla prevenzione e la medicina, sulla realtà dei fatti e non sulle favole.
A parte questo non ho niente da dire.
Entrambe le posizioni - lo ribadisco - hanno una loro dignità e sono portate avanti da schieramenti opposti che si fronteggiano.
Tutto normale non vi pare?
Tutto normale.
E allora cos'ho da rompere i coglioni anche questa volta?
Semplice.
La zampata finale dell'articolo non mi è andata giù
Ed è davvero vergognosa.

Diceva più o meno così:
"... parlate pure come volete, esprimete pure le vostre idee e le vostre paure sulla diffusione dell'AIDS. Tanto accanto ai poveri malati di questa terribile malattia ci troverete come al solito i nostri preti e le nostre suore, pronti ad accudirli amorevolmente come al solito..."

Davvero un colpo basso, meschino e di cattivo gusto.
Mi verrebbe da dire: ma bravi, prima li aiutate ad ammalarsi e poi li curate?
E che ne dite della percentuale di risorse dell' "otto per mille" che la Chiesa dedica alle opere di carità tra le quali l'assistenza ai malati? Risulta essere di poco superiore all'8,50%...
Non mi sembra una percentuale di cui vantarsi, tutt'altro.
Per non parlare dello splendido spot televisivo che, riferendosi ai sacerdoti, declama con tono altisonante: "... per uno che sbaglia ce ne sono cento che svolgono il proprio ruolo... bla bla bla..."
E via a giustificarsi per la pedofilia.
Coda di paglia ragazzi?
Casi isolati?
Non so.
Io provengo da un paese di poco più di 5000 abitanti e i preti pedofili li ho visti sul serio da bambino.
Eccome se li ho visti.
Magari loro il preservativo lo usavano pure, chi lo sa.
Sarebbe davvero una beffa per Famiglia Cristiana

venerdì 16 dicembre 2011

Il mio Barone Rampante. Oppure il vostro.


"Le imprese che si basano su di una tenacia interiore devono essere mute e oscure; per poco uno le dichiari o se ne glori, tutto appare fatuo, senza senso o addirittura meschino.
Così mio fratello appena pronunciate quelle parole non avrebbe mai voluto averle dette, e non gli importava più ninete di niente, e gli venne addirittura voglia di scendere e farla finita.
Tanto più quando Viola si tolse lentamente il frustino di bocca e disse, con un tono gentile:
- Ah sì?... bravo merlo!"

Il passaggio che trovate qui sopra è davvero esemplare.
E' tratto da "Il Barone Rampante" di Calvino dove il protagonista, il piccolo Cosimo futuro erede di un casato baronale, decide per protesta contro l'obbligo di mangiare un piatto di lumache di salire su un albero in giardino e passare lì la notte.
All'inizio nessuno si preoccupa, ma ben presto sarà chiaro che Cosimo non ha nessuna intenzione di scendere a terra.
Mai.
Morirà a 65 anni mantenendo fede a quella promessa fatta a se stesso.
L'unica volta in cui si era quasi deciso a farla finita e tornare tra i comuni mortali era stato quando si era vantato con una ragazzina di nome Viola (di cui si era innamorato) di non essere sceso dall'albero dall'ultima volta che l'aveva vista, vale a dire qualche giorno addietro.
E' in quel momento che il suo rigore morale, la sua tenacia oscura subisce un colpo proibito.
Non aveva vacillato neppure con la pioggia, il freddo o il buio.
L'unico momento in cui l'aveva fatto era stato quando aveva reso palese il suo gesto.
Per un attimo lo aveva reso meschino, come dice il narratore.

Ho un amico che a un certo punto si è fatto crescere delle basette davvero improponibili.
Una specie di lanuggine inguardabile che si collega ad una barba "a macchie" con un risultato davvero senza senso.
Non gli ho mai chiesto (al contrario di altri) il perchè lo abbia fatto.
Ormai sono anni che gira così.
Lui non me l'ha mai detto e di sicuro c'è sotto qualcosa per conciarsi così.
Non è importante cosa ci sia.
L'importante è che lui abbia avuto il coraggio di farlo, come il piccolo Cosimo.
La sua "tenacia interiore" è invidiabile, il suo rigore ineccepibile.
Io quando lo vedo lo guardo e lo ammiro.
Anche se tutto quel pelo mal distribuito e organizzato fa davvero cagare.
Nel mio piccolo anch'io vorrei essere come il Barone Rampante.
Ribellarmi al nulla.
Protestare con me stesso più che con gli altri.
Trovare un modo per gratificarmi e rendermi migliore facendomi beffe degli altri.
Oppure nulla di tutto questo.

P.S. Da questa settimana si riparte con il blog.
Ho finito di fare quello che dovevo fare e ora devo solo attendere.
Un post alla settimana ve lo devo.
E scusate l'interruzione.
Paolo

sabato 19 novembre 2011

Stanza di compensazione


Ciao a tutti
Come vedete questo blog è rimasto fermo per qualche tempo, direi quasi un paio di mesi.
Ovviamente non si è trattato di un qualcosa di accidentale ma di un processo ben definito, vale a dire la fine di un ciclo.
Mi spiego meglio:
Questo blog è legato inscindibilmente al "making of" del mio libro "Io mi carico di rabbia"
Ho finito finalmente il mio libro e sto cercando un editore.
Ho fatto un rash finale per la partecipazione al premio Italo Calvino, nel quale ripongo speranze (poche) ed entusiasmo (molto)
Le mi energie sono tutte qui, niente da dire e niente da aggiungere.
Parlo soprattutto di energie mentali ed organizzative.
Questo mi ha portato a non pensare più a questa mia "stanza di compensazione" che è stata determinante nel portare a compimento questo progetto.
Abbiate pazienza ragazzi.
Ho quasi terminato, mi manca ancora poco.
Poi rilancerò in pompa magna tutto il circo che mi circonda.
Le minchiate e le riflessioni.
La frustrazione e la gioia.
Tutto qui dentro.
Nel blog "Io mi carico di rabbia"

sabato 24 settembre 2011

Il centro commerciale delle commesse





Ieri pomeriggio mi trovavo in provincia di Bergamo, più precisamente ad Antegnate.
Passavo di lì per lavoro ed era giusto l'ora di mettere qualcosa sotto i denti.
A un certo punto ho visto spuntare sulla strada statale un mastodontico centro commerciale, una specie di enorme astronave di cemento armato piazzata a guardia del paese.
Gli giro intorno in macchina per qualche minuto e mi rendo conto che è davvero enorme, una specie di mostro che intimorisce solo a guardarlo.
Parcheggiare è un problema, nel senso che bisogna ricordarsi in quale scomparto lo si fa.
Ingresso "Brescia", zona blu, posto 622 e comunque sto bene attento a non scordarmi altri punti di riferimento.
L'interno del mostro è quasi sconvolgente.
Decine e decine di negozi, ciascuno dei quali dispone di migliaia di metri quadri.
Tutto bellissimo: giochi di luci, arredi splendidi e marchi prestigiosi.
Televisori al plasma dappertutto, filodiffusione e grande impatto visivo per tutto.
Scaffali pienissimi: abiti, scarpe, tecnologia e chi più ne ha più ne metta.

Mi accorgo subito di una cosa, però.
In tutto il centro commerciale non c'è nessuno.
Sì e no qualche decina di persone, venti al massimo in un posto che potrebbe contenerne senza problemi almeno un paio di migliaia.
Il mostro è popolato solo da commesse.
Due per ogni negozio, rigorosamente affaccendate nel nulla all'interno dei loro splendidi tailleur.
I bar vanno avanti solo grazie al personale dello stesso centro commerciale.
Si vede benissimo che chi ordina il caffè è la commessa di Zara...
Mi avventuro in un negozio di elettronica (2000 mq mi dicono...) e naturalmente sono l'unico.
Il commesso mi si attacca come una ventosa, non mi molla e mi propone un tv 3D.
Mi avvio dopo un quarto d'ora all'uscita e lo ringrazio.
Mi segue fino all'uscita del negozio, mi salvo solo per il fatto che non può seguirmi nel parcheggio.
Pazzesco, non c'è altro da dire.

Questa è la crisi, si dirà.
No ragazzi, la vedo diversamente.
La crisi non è un centro commerciale deserto.
La crisi è averlo costruito, averlo realizzato.
Avere creato l'idea di profitto dove non c'era, aver deciso che il businness non era vendere le merci e i prodotti ma il concetto stesso della costruzione del businness.
Queste cose ti fanno pensare che salteremo in aria.
Che le commesse non possono comprare i loro stessi vestiti.
Che i caffè sorseggiati nei bari costano 1 euro e tutte le volte che la mattina alle 8 apri tutto il baraccone solo la bolletta elettrica ti fa impallidire, figuriamoci tutto il resto.
Che non puoi pensare di vivere 52 settimane in un anno se fai il pienone solo la settimana di Natale e quelle dei saldi invernali ed estivi.

Il senso di disagio è stato grande come la sensazione di essere di fronte a qualcosa di profondamente sbagliato.
Stiamo andando nella direzione sbagliata, stiamo spaccando tutto.
Forse torneremo a comprare la frutta e la verdura nel negozietto del quartiere, a frequentare il bar sotto casa.
O forse ci arriveremo quando tutto questo non avrà più molto senso.
E poi ci metteremo comodi, seduti sulla rotonda di ingresso dei nostri centri commerciali con un sacchetto di semi di zucca tra le mani da mangiare.
Li guarderemo crollare, andare in malora. Deperire giorno dopo giorno.
E forse torneremo a parlare tra di noi.
A leggere e a vivere anche solo un po'.



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lunedì 19 settembre 2011

Push the button, please




A volte compiere una scelta non è quello che può sembrare.
Una scelta presuppone un'alternativa, un bivio al quale ci si interroga su quale strada proseguire.
A volte le scelte sono prive di queste caratteristiche, la loro inelluttabilità le rende solo a prima vista delle scelte mentre in realtà si è di fronte a un bottone da premere.
Direte voi: la scelta c'è anche in quella circostanza.
Premere o non premere il bottone?
Vero, ma quello che intendo io è un'altra cosa.

La decisione l'hai già presa.
Pensi che tutto sia già scritto e in effetti è proprio così.
Non c'è nulla da fare.
Hai esaminato ogni passaggio, hai valutato ogni situazione.
Tutto riconduce a un unico evento.
Il push the button.

Tu sei lì, sai che non c'è alternativa ma nonostante questo non ce la fai proprio a pigiare quel fottuto pulsante.
Poi ti guardi intorno.
Più ci pensi e più pensi che sia giusto.
Più ci pensi e più non non hai il coraggio di farlo.

Per farlo hai bisogno dell'ultimo scalino.
Di un evento traumatico che non c'è.
Abbandoni l'idea ed esci dalla porta con i coglioni girati.

Poi l'evento traumatico accade e tu lo benedici.
Corri nella stanza del bottone e finalmente fai quello che devi fare.
La finestra si apre.
I dubbi svaniscono e ti rendi conto che in fondo non hai fatto una scelta.
L'hai soltanto osteggiata senza motivo fino ad allora.
La scelta non è mai esistita.
L'unica cosa che esisteva era la tua incapacità nel capire la realtà.
Ma ora è passato.
E le cose passate assumono un'altro sapore mentre le cose future ti ringraziano per averle rese possibili.


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domenica 4 settembre 2011

La ricetta della felicità: morire di fame mentre tu bevi champagne




Mi sintonizzo su Radio24 e l'intervistato questa volta è un fantomatico economista di non so quale cazzo di università.
La domanda ovviamente è la solita: come si esce da questa situazione critica per l'economia? Quale la ricetta possibile per sanare una situazione divenuta davvero rilevante per tutti?
Il nostro bell'economista ha una ricetta tutta sua ragazzi, state a sentire.
Primo punto: abolizione dell'IRAP, che ovviamente è pagata dalle imprese. Così si rilancia la competitività, bisogna sostenere le imprese e che diamine! Tutti d'accordo no?
Punto secondo: innalzamento da subito dell'età pensionabile a 67 anni, sia uomini che donne... Tanto la vita media si è alzata no? Lavorate di più e pagate più contributi. Le pensioni che riscuoterete ve le godrete finchè crepate, che cazzo volete di più?
Punto terzo: un bell'innalzamento di due punti percentuali dell'IVA, dal 20 al 22% e siamo a posto! Facciamo decollare i prezzi al consumo, così le entrate aumentano e siamo a posto!

Il radio giornalista è molto perplesso.
"Professore..., ma così la manovra la paga il lavoratore dipendente, il pensionato, il dipendente pubblico, la gente che fa fatica..."
"E va beh... Siamo in un paese capitalista, da che mondo e mondo in questi paesi, e quindi anche in Italia, il capitale sfrutta il lavoro e quest'ultimo subisce. Si mangeranno meno bistecche e si pagherà qualche ticket sanitario in più, cosa volete che vi dica..."

Giuro che non mi sono inventato neppure una parola.
Vi prego di tornare indietro e rileggere attentamente una seconda volta tutto quanto.
Vi assicuro, è tutto vero.
Spero che qualcun altro abbia sentito quell'intervista e mi dica che sono pazzo e che mi sono inventato tutto.
Ma purtroppo non è così.
Allora io dico.
Pensate di risolvere davvero in questo modo la faccenda?
Oppure si tratta di uno scherzo di cattivo gusto?
Sappiate solo una cosa, soltanto una.
Che se pensate di farci pagare i vostri yacht, il vostro champagne e le vostre troie un'altra volta (l'ennesima) dovrete passare sui nostri cadaveri.
E probabilmente -alla fine- sarà più facile che saremo noi a passare sui vostri.


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martedì 30 agosto 2011

Tema: Come ho passato le mie vacanze. Svolgimento:




È un po' che non scrivo ragazzi, ma abbiate pazienza.
Esisto ancora...
In queste ultime due settimane ho lavorato tantissimo al libro, ho apportato tutte le correzioni possibili sulla base delle indicazioni fornitemi dall'agenzia letteraria.
Ho dovuto conferire una nuova veste temporale alla maggior parte dei capitoli in maniera tale da sviluppare più piani di narrazione.
Ho dovuto smorzare un eccesso di frammentarietà inserendo dei micro-capitoli di collegamento tra un capitolo e l'altro.
Ho snellito parzialmente il tono descrittivo.
Ho scritto un nuovo capitolo che ho posizionato più o meno a metà libro.
Ho arricchito con alcuni passaggi qualche capitolo, sulla base di una visione complessiva che ho acquisito soltanto poco tempo fa.
Insomma, un gran lavoro che mi ha impegnato anche 2-3-4 ore tutti i giorni.
Adesso rimango in attesa del responso del mio correttore di bozze di fiducia e del mio disegnatore e poi, entro il 15 di ottobre, spedisco tutto al Premio Letterario Italo Calvino.

Le mie ferie quindi le ho passate con le tapparelle tirate giù, il PC acceso, il tablet connesso, i libri sparsi per casa, la tv sintonizzata sui canali più disparati.
Come spesso mi capita in queste circostanze sono andato in fissa con una cosa, e questa volta, è toccato al sequestro Moro.
Ho visto tutti i film (tre) sull'argomento, ho letto due libri (entrambi fantastici), ho scaricato l'intero Memoriale di Moro (non preoccupatevi, è un download legittimo), ho visionato decine di filmati su You Tube e consultato parecchi siti internet.
Insomma mi sono fatto un'idea sulla questione e ho iniziato a pensare a questa faccenda in maniera davvero seria.
Probabilmente è stato l'evento che ha davvero modificato nella maniera più radicale possibile la nostra vita. Se non fosse finita come noi tutti sappiamo oggi saremmo in un mondo diverso, diversissimo.
Non so se migliore o peggiore in quanto non ho idea di come si sarebbe sviluppata la vita politica e sociale dell'Italia, ma certamente sarebbe stato un Paese completamente diverso.
Magari ne parleremo la prossima volta.
Un'altra cosa.
Ho iniziato anche un libro su Ratzinger.
Ho pure visto due concerti, Verdena e Ministri.
Beh, insomma, alla fine qualcosa ho combinato in queste ferie, non credete?

Poi ritorno al lavoro.
Mi guardano tutti.
"Ma insomma Paolo, sei più bianco di quando abbiamo chiuso gli uffici!"
"Ehhh.. Sì, forse... Ma ho fatto un sacco di cose..."
"Va bene, va bene... Però un po' di sole potevi pure prenderlo"
"Hai ragione Silvia, hai ragione..."
Accendo il PC e metto la password.
Allora, dove eravamo rimasti?

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venerdì 12 agosto 2011

Auguri Fidel. E spiegaci come hai fatto.




Domani 13 agosto 2011 Fidel Castro compie 85 anni.
Come potete leggere dalla mia scheda qui a fianco mi definisco politicamente castrista, ma non voglio certo annoiarvi con le mie elucubrazioni riguardanti la questione in oggetto che ritengo sia di scarso interesse per tutti.

Vorrei però partire da questo per chiedermi che cosa significa oggi, nel 2011, definirsi di idee radicali.
Si tratta forse di appartenere all'omonimo partito? Significa votare a sinistra piuttosto che a destra? Significa imbracciare un fucile e fare la rivoluzione?

Probabilmente niente di tutto questo, ma ho l'impressione che oggi si sia smarrito il concetto e il valore di un'idea radicale.
Sì lo so, mi sto cacciando in un ginepraio da cui non uscirò vivo ma ho l'impressione che di questi tempi definirsi moderato, fare vita tranquilla e farsi i cazzi propri sia il trend di gran lunga dominante.

Sembra che tutti quanti siano proiettati ad arrivare a crepare nella maniera più indolore possibile, in punta di piedi, senza grossi scossoni.
Nessuno rischia più un cazzo, nessuno pensa più agli altri.
Al massimo si aiutano le vecchiette ad attraversare la strada.

Si dice sempre che le generazioni debbano fare le loro esperienza, sbagliare e risbagliare per arrivare poi a combinare qualcosa di buono.
Bisogna sbattere la testa contro il muro per capire che il muro fa male.
Cazzate.
Così passa il tempo, passano le generazioni e i problemi sono sempre quelli.
Quando la maturazione delle persone è arrivata a compimento queste sono troppo vecchie per incidere sulla società.
Già a 40 anni un individuo è cotto, pensa solo a tirare a campare.
Al figlioletto da mandare all'asilo prima, al mutuo e alla pensione poi.
E così si ricomincia da capo, con un'altra generazione a fare e sbagliare a ripetizione, senza che nessuno la guidi.
E poi ancora una volta e poi ancora una volta.

Il risultato? L'immobilità.
Il conservatorismo più becero e duraturo che si possa immaginare.
Fatto di generazioni che non avanzano e di società che si incartano mangiandosi la coda al posto di progredire.

Bisognerebbe agire a cuneo.
Subito. Con un obiettivo univoco, chiaro.
Scardinando metodi e approcci pseudo progressisti logorati da decenni di insuccessi e da una ripetitività che non ha fatto altro che irrobustire il fronte di coloro che vogliono che le cose non cambino.

Poi mi viene in mente Fidel che naufraga sulle coste meridionali di Cuba con un pugno di uomini scappando sulla Sierra Maestra con qualche fucile da caccia.
Da lì riuscirà a battere un intero esercito armato di tutto punto, con aerei, fanteria d'assalto e centinaia di migliaia di soldati.
Non so come abbia fatto ma ce l'ha fatta.
Buon compleanno Fidel.


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martedì 9 agosto 2011

La rivoluzione della "Patatina"




Lo spot della patatina Amica Chips con Rocco Siffredi è tornata.
Io l'ho vista, non so voi.
Ovviamente questa volta il buon Rocco non spiccica parola ma non c'è davvero nulla da dire, tutti se la ricordano quella pubblicità.
Probabilmente con il silenzio si è voluto evitare inutili polemiche che si verificarono all'epoca della prima messa in onda.
Questa volta "Lui" si limita ad ammiccare mentre mangia le patatine in vestaglia di raso contornato da belle ragazze.
L'effetto dirompende però è identico rispetto alla versione originale, se non addirittura maggiore.

Lo spot a mio avviso è davvero di alto livello.
È di un'ironia spaventosa, ha il testimonial perfetto e un copione da manuale della comicità.
I pubblicitari sono stati questa volta davvero grandi.
Ovviamente solo i bacchettoni qualche anno fa si scagliarono contro l'immoralità della proposta e i "palesi doppi sensi" della rinomata pornostar.
Davvero degli ipocriti.

In questo spot il sesso non esiste.
Ne sono assolutamente convinto.
Esiste solo una patina superficiale di quello che potremmo definire fantasiosamente "sesso", una specie di bonaria parodia della pornografia "di famiglia" del tutto innocua e persino rassicurante.

I signori censori farebbero meglio a riversare le loro ire verso gli spot degli innumerevoli profumi dei maggiori stilisti italiani e stranieri, dove la sottile perversione che questi propongono e la conseguente equazione che ne deriva (sintetizzabile nell'assunto "se lo compri scopi di più") è senza alcun dubbio tanto volgare quanto banale.

Invece Rocco è lì, tranquillo.
Mangia comodamente un simpatico pacchetto di patatine a bordo piscina mentre il mondo del Family Day inorridisce.
Applausi convinti.
Un po' come quando incontro i furgoni dell'Amica Chips per strada con la scritta sulla fiancata "Quelli della Patatina".
Rivoluzionari.


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domenica 31 luglio 2011

Non si esce vivi dagli anni '80





Ho i cassetti pieni zeppi di magliette, t-shirt per dirla come si dice adesso.
Ogni volta che torno da un concerto ne compro una.
Alcune me le sono fatte stampare direttamente io con le scritte che volevo io.
Altre le ho comprate durante i viaggi, altre ancora sono di associazioni che intendo sostenere tipo Emergency.

Ormai ne ho una quantità inimaginabile tanto che qualcuno (mia moglie) parla ormai di semi-collezionismo.
Per me indossare una maglietta ha un significato particolare.
Lancia un messaggio, un input forte e deciso e ha il vantaggio di comunicare con chiunque, anche con chi non mi conosce e mi vede passare per la strada.

È uno dei pochi strumenti che ci permette di scagliare sassi o di dispensare carezze senza interferire con la libertà altrui, rimanendo a distanza di sicurezza ma contemporaneamente lanciando una sorta di "message in a bottle".

A volte ci possono essere significati doppi nell'indossare una maglietta.
Per esempio l'ultima che ho comprato ha disegnato un enorme cuore che batte con ventricoli e arterie. Sotto c'è scritto: "A Better Man".
Certo, è il titolo dell'ultimo album di One Dimensional Man e il cuore che batte è la copertina dell'ultimo album ma la doppia lettura è alla portata di tutti e il messaggio ambivalente mi entusiasma (sono un fan di ODM - per essere un uomo migliore bisogna avere/usare il cuore).

Mi chiedo che cosa abbiano invece da dire la cazzute magliette con le scritte americane delle scuole d'oltreoceano che vedo indossate da chiunque.
"California surfing school 90210"
Ma che cazzo di maglietta è mai questa?
Stesso discorso per quelle che vedo girare con le scritte in italiano, con la marca bene in vista. Spesso la gente si trasforma in cartellone pubblicitario umano senza rendersene conto, pubblicizzando marchi e loghi.
Un po' come gli uomini sandwitch.
Un bella scritta a tutto busto: D&G
E che cazzo! ho pagato cinquanta sacchi una maglietta penosa per il solo fatto che fosse dei due coglionazzi e adesso gli faccio pure un po' di pubblicità portandomela in giro.
Roba da non crederci.

Come il fiore della Guru che sette-otto anni fa imperversava sulle schiene, sulle cosce, sui glutei e sui petti di migliaia di persone in tutto il Belpaese.
Una margherita del cazzo che sembrava essere bellissima per il solo fatto che ce l'avevano tutti.
Ma il tempo è galantuomo.
Ora il proprietario della Guru se la passa piuttosto male e le sue magliette sono finite nella migliore delle ipotesi tra le cose dimenticate da dio e dagli uomini.
Le magliette che indossavo a quei tempi invece le indosso tutt'ora.
Smunte, a volte rovinate dai troppi lavaggi non sempre accurati.
Ma sono ancora lì.
Sopratutto quella che recita: "Non si esce vivi dagli anni '80".
Sante parole porca puttana.
Sante parole.




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lunedì 18 luglio 2011

Tirare Dio per la giacchetta




"Credete sia una cosa positiva che la donna abbia un conto corrente per sè, che si renda autonoma economicamente dal marito? Pensate sia giusto?"

"Quando vedo un divorziato per strada lo riconosco subito, è triste e io lo compiango. Non ha fondato la sua unione su Cristo"

Queste sono solo due delle perle di saggezza sfoggiate da un pessimo prete incontrato durante un'omelia di un matrimonio.
Sono passati due giorni ma queste cazzate non riesco a mandarle giù, non so cosa farci.
Alla fine della messa ho sentito altre persone che mi hanno risposto "che ci vuoi fare... Fa il suo mestiere, rema nella sua direzione".
Io non capisco comunque.
O meglio, capisco come la gente non ne voglia più sapere di andare a messa, di sentire certe stronzate.
Vado a messa due volte l'anno e tutte le volte che ci vado nella migliore delle ipotesi sento una compilation di banalità da far invidia agli spot pubblicitari dei detersivi e della Nutella.
Mai un concetto che sfugga al già sentito, al ripetitivo.

Ho la netta sensazione che ti vogliano indottrinare come quando avevi sei anni non capendo che adesso sei adulto e ti devono dar da mangiare qualche idea se solo vogliono stimolarti un minimo.
Niente di tutto questo.
Dogmi, solo dogmi.
Niente spiegazioni, niente approfondimenti, nienti dubbi.
Solo fottuti dogmi.
Perchè succede quella cosa?
"Semplice, perchè deriva da quell'altra e solo da quella"
"Non la capisci e non si capisce oggettivamente?"
"È un mistero, capiremo solo in futuro".
Le risposte sono tutte così.

Ma c'è una cosa che mi fa incazzare ancora di più.
È il fatto che questa tipologia di preti parla sempre in nome di Dio.
Si è autoproclamata da tempo immemorabile portavoce di Cristo nonostante non lo conosca proprio per un cazzo.
Lo invoca, lo tira per la giacchetta per i suoi scopi, ne storpia i fondamenti, ne interpreta le parole in maniera quantomeno arbitraria.
Ha solo certezze, come so lo conoscesse personalmente.
Come se gli parlasse in continuazione.

Un barbone di una metropoli.
Un abitante delle favelas
Un rapinatore
Un emarginato
Una vittima di uno stupro
Un malato di mente
Sei tipologie di persone che a mio avviso conoscono Nostro Signore Gesù Cristo molto meglio di questi stronzetti pretenziosi dal culo imburrato e dal cervello piccolo così.
Amen.



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venerdì 8 luglio 2011

Assassini innocenti







Ci sono persone che manipolano la realtà e questo penso che lo sappiano un po' tutti.
Poi ci sono persone che la manipolano ma non si rendono conto di farlo.
Si autoconvincono che la verità sia esattamente quella che hanno realizzato nella loro testa.
L'hanno talmente elaborata nel proprio cranio deviato che sono convinti di dire il vero, tant'è che a mio parere se ci fosse di mezzo la macchina della verità non ci sarebbe comunque nessun problema.
La verità sarebbe la loro.

Loro sono fatti così.
I loro interessi, lo loro posizione viene prima di tutto.
I loro errori non esistono essendo completamente privi di senso dell'autocritica.
Cancellano le mosse sbagliate con un colpo di spugna.
Quelle mosse non sono mai state compiute, non sono mai esistite.
Lo potrebbero giurare sulla testa dei loro figli senza nessun tipo di problema.
È gente che mente non sapendo di mentire.
Gente innocente, alla fine.
Su questo non ho nessun dubbio.

Però si tratta di persone con qualche disturbo mentale, da cui bisognerebbe senza alcun dubbio stare alla larga.
Sono convinto che leggendo queste stesse righe concorderebbero con me.
E magari direbbero: "è proprio vero, c'è gente che fa proprio così".

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venerdì 1 luglio 2011

Salviamo Current





Solo per segnalare questa petizione in favore del miglior canale televisivo italiano, destinato forse a chiudere il 31 luglio 2011.
Cercate di fare qualcosa e firmate anche voi.
Grazie.

http://www.petizionepubblica.it/?pi=P2011N10071

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giovedì 30 giugno 2011

Il primo bicho non si scorda mai


Ieri ero in una tabaccheria specializzata in sigari Avana di San Benedetto Del Tronto.
Dovete sapere che il tabacco cubano è da sempre potenzialmente sotto la minaccia di un piccolo coleottero mangia tabacco chiamato in gergo "bicho".
A Cuba si fa di tutto: procedimenti complessi e costosi.
I singoli importatori aggiungono ulteriori passaggi fumigando i preziosi carichi provenienti da oltreoceano e sottoponendo le casse di puros - una volta giunti a destinazione - a temperature glaciali in apposite aree di stoccaggio.

Il bicho parrebbe destinato a simpatico ricordo se non fosse che, immancabilmente, tende a non scomparire.
Se ne fa beffe di tutto e di tutto e talvolta compare nei box di Avana trapanando i sigari da parte a parte come il tarlo del legno.
Una volta al suo interno la femmin deposita le uova che in determinate circostanze di umidità e temperatura si schiudono dando vita a nuovi coleotteri.

Ieri, mentre il titolare della tabaccheria mi mostrava una scatola di "El Morro" di San Cristobal de La Habana anno 2001 me lo sono visto lì.
Passeggiava allegramente all'interno della scatola da 400 euro o giù di lì con grande disinvoltura, come se fosse casa sua.
Il tabaccaio è sbiancato.
Peggio che scoprire un cobra dentro il letto prima di andare a dormire.
Ha evitato di urlare e ha fatto buon viso a cattivo gioco cercando di minimizzare.
Nel frattempo tre sigari erano già stati vistosamente intaccati mentre gli altri lo erano potenzialmente.

A me il bichio sta simpatico.
Certo, trovarmelo nel mio humidor non sarebbe una gradita sorpresa.
Ma il pensiero che un piccolo animaletto lungo un paio di millimetri possa mandare in fumo (scusate il gioco di parole) decine di migliaia di euro in pochi giorni e che non ci sia, nonostante ciò, un metodo sicuro al 100% per evitare che si diffonda... beh questa cosa mi rallegra.
È una specie di piccola lezione di vita, di moderno Davide contro Golia.
Un motivo in più per credere che alla fine certe piccole cose siano molto più resistenti di quanto si creda rispetto ai grandi giganti.
Manuel Agnelli diceva: "Ho valutato i pro e i contro di na vita rampante, scoprendo che l'amore passa l'herpes è per sempre..."

Ieri me ne sono andato dalla tabaccheria con cinque sigari particolarmente aged.
Uno di questi proviene dal box incriminato.
L'ho messo in quarantena, isolato dagli altri quattro.
Poi ho fatto il pensierino di cui sopra.
Subito dopo sono rientrato in me e, per evitare qualsiasi equivoco d fondo, l'ho dato alle fiamme.
Se le uova di bicho erano presenti tanto meglio.
Me le sono fatte sicuramente flambè.
Pace all'anima loro.


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martedì 21 giugno 2011

Sparare sulla folla con la penna in mano.










Ho avuto le risposte che cercavo.
L'Agenzia Letteraria che ho interpellato mi ha fornito sei pagine di valutazione del mio manoscritto e devo dire che sono molto utili al fine di sistemare al meglio il mio libro.
Ho avuto più che altro conferme, sia per quanto riguarda le cose che vanno come per quelle che non vanno.
Avevo delle certezze che sono rimaste tali (struttura narrativa, storia, caratterizzazione dei personaggi, finale aperto ed ambiguo...) mentre gli aspetti deboli sono effettivamente quelli per i quali avevo molto più che un semplice sospetto.

Il mio libro funziona come le scatole cinesi.
Il narratore racconta e all'interno del racconto ci sono altri racconti, da situare quindi su piani temporali diversi.
La difficoltà di fare questo mi aveva portato a pensare di volere in qualche modo "tagliare la testa al toro", cercando cioè di impostare l'intera narrazione con un unico tempo verbale - il perfetto -.
Ovviamente è stato un errore.
L'idea di frammentazione ne è stata la conseguenza più lampante e peggiore.
Ma sistemabile.
Con grande fatica ma sistemabile.

Sto prendendo in mano tutto il libro e sto cercando di porre rimedio a questo problema.
Inoltre mi è stato suggerito di conferire maggiore carica claustrofobica ai capitoli.
Di premere sull'accelleratore, di osare ancora di più.
Beh, è la risposta che aspettavo.
Ci darò dentro ancora di più.
Eliminerò gli alleggerimenti che avevo inserito nel racconto e inizierò a sparare sulla folla con un mitragliatore.
La prossima scadenza è il concorso letterario "Italo Calvino", il più prestigioso in Italia per autori emergenti.
Il 15 settembre è il termine ultimo per l'iscrizione.
Riuscirò a sistemare il tutto per quella data?
Che gli dei della psichedelia aiutino Roberto, il protagonista.
E già che ci sono aiutino anche me... Ne ho davvero bisogno...

PS: la foto che vedete in alto l'ho creata io. Non vi sembrano dei fori di proiettile?




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lunedì 13 giugno 2011

Affamato di semplicità


Mi tocca guardare i cartoni animati.
Non ci posso far niente.
Mia figlia due volte al giorno (e per la durata complessiva di venti minuti) apprezza Baby Tv e in fondo la capisco.
Ha solo un anno e vedere tutti quei colori e sentire tutte quelle canzoncine deve essere una bella botta di adrenalina.
Io, al contrario, ce ne ho 37 di anni e quindi di adrenalina ne provo decisamente di meno.

Attenzione però: dopo un iniziale periodo di smaronamento mi sono accorto di essere entrato nel tunnel.
Si tratta di cartoni della durata massima di due minuti, fatti apposta per bambini da 6 mesi fino a 3 anni, non di più.
Trovo che per gli adulti abbiano un sapore quasi psichedelico, insomma... ti mandano in trance.
La loro ripetitività, il loro essere scontati ti inducono a prendere atto di un aspetto marginale della vita, che potrei riassumere banalmente con un'unica significativa parola.
Semplicità.

Mi accorgo che alla fine tutto quello che gira intorno a noi potrebbe assumere una veste parzialmente differente se solo guardassimo la realtà con un po' di disincanto.
Con meno cinismo.
Con più tranquillità, forse.

Mi chiedo se anche gli adulti possano avere bisogno di semplicità, di linearità.
Di bellezza delle cose.
Di colori sgargianti e gesti immediati e privi di retroscena.
Faccio il paragone con la serie tv "Lost".
L'ho guardata per quattro stagioni tentando di far coincidere le cose.
Cercando retroscena e giustificazioni, collegamenti improbabili e interpretazioni estreme e strampalate.
Poi, alla fine, mi sono rotto i coglioni e non ho neppure visto la serie conclusiva.

Meglio le avventure di YoYo e la scimmia Darwin.
I Tenerotti con Gnam-Gnam che mangia di tutto e le avventure di Hungry Harry, un topo messicano affamato alla ricerca di ingredienti da portare al suo amico cuoco.
La vera genialità sta qui.
Nella capacità di abbracciare un gusto naif senza il terrore di risultare goffi e imbecilli.
Altro che Lost.
Altro che salti temporali, macchine del tempo e creature trabilianti.
La potenza dei bambini sta tutta qui.



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giovedì 2 giugno 2011

Progetti? A ognuno il suo...




"Senza le persone giuste non si va da nessuna parte"
No, non sto parlando di raccomandazioni o qualcosa di simile.
Questa considerazione è legata esclusivamente a una valutazione di opportunità di sviluppo di progetti di natura artistica, soprattutto per quanto riguarda quelli di natura collettiva.

Se vuoi fare tutto per gli affari tuoi non ci sono problemi: decidi tu, organizzi tu, scegli tu e fai quel cazzo che ti pare.
Un po' come scrivere un libro, oppure comporre e suonare canzoni con l'iPad come sto facendo io.
Un'altra cosa è mettersi in gioco con altre persone per un progetto a più mani, dove è necessario mediare, ascoltare, proporre la propria visione delle cose e valutare con attenzione le indicazioni e le strade proposte dagli altri.

C'è un sacco di gente che conosco che è passata dal far le cose con altri a far le cose da soli (e non tornerebbe più indietro).
Conosco persone che stanno proprio in questo momento cercando di passare da progetti di gruppo a progetti solistici, quasi schifati dalle esperienze collettive che avevano avuto in precedenza.
Conosco gente che è una vita che fa da solo e non è mai riuscito a imbastire un progetto con qualcun altro, anche se lo vorrebbe fortemente.
Conosco gente che non riesce proprio a pensarsi in un progetto solistico perchè ha bisogno di altre persone per esprimersi. E se queste hanno deciso di chiudere, beh... prendono atto della cosa e chiudono per sempre anche loro con i giochi.
Conosco persone che invece ritornano sul luogo del delitto continuando a pensare che le cose potrebbero andare diversamente ricominciando di nuovo con le stesse persone che portano gli stessi problemi di sempre.

E quel che peggio conosco persone che non si fanno problemi nel persistere nel creare problemi ad altri, quasi come se fossero programmati a rompere le palle giocando sulla loro presunta (molto presunta) insostituibilità.

Adesso facciamo un bel gioco.
Rileggiate tutto quello che ho scritto sotto una diversa ottica e sostituite le parole "sviluppo di un processo artistico" con la parole "sviluppo di un processo amoroso di coppia".
Vedrete che in fondo si tratta più o meno della stessa cosa.
Sfumatura più.
Sfumatura meno.
Non è una strana coincidenza?
Direi proprio di no ragazzi, direi proprio di no...

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martedì 24 maggio 2011

Acidi e antiacidi, questo è il problema




Sto guardando il video di "In bloom" dei Nirvana.
Geniale, soprattutto le loro facce e le pettinature anni '50.
Kurt sembra Ricky Cunningan (si scrive così?) mentre Grohl ha una parrucca davvero impresentabile.

Ogni volta che mi metto in verticale ho dolori alla bocca dello stomaco.
Ieri sera mentre mangiavo una fiorentina condita da insulti gratuiti provenienti dal ristoratore (un cinquantenne aretino perfettamente inserito nella parte del "toscanaccio bestemmiatore che insulta tutti per necessità di spettacolo") mi si è bloccato il boccone mentre lo ingurgitavo.
Mi è successo più volte negli ultimi mesi.
Ho fatto anche una cura, ma quando ho smesso i problemi gradualmente si sono ripresentati.
Mi sembrava di avere un mattone conficcato nello stomaco, ieri sera.
Ho tentato la carta della disperazione, così come mi aveva consigliato il medico.
"Bevi un paio di sorsi di Coca Cola e stringi i denti. Quella roba sblocca tutto..."
Una specie di Mister Muscolo, penso io.
L'ho fatto.
Per tre secondi ho pensato di non poter respirare.
Poi mi sono sentito come uno scarico sturato.
Il boccone era sceso nello stomaco.
Da quel momento in avanti quando mangio ho dolore, poco ma fa male cazzo.
E al momento non passa.

Su Rock Tv passa un video degli Oasis che non ho mai visto, con quella solita faccia da culo di Liam.
La canzone è famosa, la riconosco.
Il mio stomaco invece non lo riconosco più.
Meglio prendere un altro Maalox.
Avrei voglia di un Mojito ma stasera ho mangiato solo uno straccio di yogurt e mezza tazza di Special K, quelli che fanno dimagrire.
Fatemi andare avanti per favore.
Gli Oasis cantano per la 75esima volta il loro ritornello e chiudono il video salendo su un elicottero.
Troppo facile fuggire così.
Meglio tenere duro, cercare di capire dove sbaglio.
Nell'alimentazione? Nelle abitudini? Nei pochi eccessi che mi concedo?
Mi sono rotto i coglioni.
E il video che stanno passando in questo momento è davvero cazzuto, così come la musica che ci sta sopra.
"Ci vorrebbe un antiacido", penso.
Nel frattempo parte il video di "Interstellar Overdrive" dei Pink Floyd.
Ehi ho detto un antiacido.
Non un acido.

Battutona.
Meglio andare a dormire.

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sabato 21 maggio 2011

La diversità dei libri e dei bicchieri





Stamattina mi sono svegliato un po' tardi.
Nelle orecchie ho ancora i decibel spaventosi del concerto dei Massimo Volume di ieri sera, un vero bagno di sangue.
"Ieri sera hanno suonato con uno strano furore", penso.

Devo andare a un convegno verso le 10.30 ma non ce la faccio proprio.
Metto su gli mp3 dell'ultimo disco del gruppo bolognese e imbraccio il libro di Niccolò Ammaniti che ho iniziato qualche giorno fa.

In contemporanea sto leggendo "La vita accanto" di Mariapia Veladiano vincitrice del Premio Calvino 2010.
Non c'è paragone.
Ammaniti è un cannibale e si vede.
In tutto quello che scrive, anche quando scrive di bambini è un cannibale.
È un modo di vivere, di essere.
Ti rimane addosso, inspiegabilmente.
In maniera persistente.

La Veladiano al contrario si perde in descrizioni prolisse, che non aggiungono nulla alla sostanza.
Non c'è "potenza di parola" ma sole parole.
Descrizioni fini a sè stesse, innocue.
Peccato.
Il libro è bello, ma se il lettore tende a dribblare le parole vuol dire che c'è qualcosa che non va.
Piacerà a chi legge il Piccolo Principe e La Principessa Sissi ma io sono alla ricerca di qualcos'altro.

Mi vesto ed esco per per andare a pranzo.
Al cameriere sfugge una bottiglia di acqua che si infrange sui miei 5 bicchieri frantumandone 3.
Alla fine mi accorgo che uno dei calici sopravvissuti è storto.
Come la torre di Pisa.
Impossibile dico io.
Impossibile.
"Doveva essere già così", mi dice un commensale.
"L'avrei notato", rispondo io.
"Secondo me è stato l'impatto con la bottiglia di acqua"! , dico.
Nessuno mi fila.

Passa il cameriere e glielo faccio notare divertito.
Lui mi guarda.
"Porta fortuna", mi dice.
Lo guardo.
Ha ragione.
Una cosa così strana non può che portarmi fortuna.

1000 bicchieri tutti uguali, ma quello anomalo è un segno di buona fortuna.
Nella vita, invece, chi è diverso viene visto come un elemento di contagio.
Stare alla larga, please.
Il bicchiere storto invece no.
Quello piace e diverte.
"Porta fortuna", mi dice il cameriere con un sorriso.
"Ne ho proprio bisogno", penso io.
Mi verso l'ennesimo bicchiere di Franciacorta stando ben attento a non usare il bicchiere storto.
Bello com'è deve rimanere illibato.
Puro e sgraziato come la sua diversità.



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domenica 15 maggio 2011

Le persone parlano da sole al supermercato







Pensavo di essere l'unico ma a quanto pare non è così.
Aggirarsi al supermercato è sempre un'esperienza surreale, quantomeno meno banale di quello che potrebbe sembrare.
Da qualche tempo ho notato la tendenza, da parte mia, di commentare ad alta voce prodotti, sistemazione sugli scaffali e necessità varie da consumatore.
Insomma, parlo da solo al supermercato.
Come i matti, direte voi.
Lo pensavo anch'io.

Poi ho deciso di tenere sotto controllo questa cosa, tentando di rendermi conto immediatamente di quando sentivo l'esigenza di predicare sul costo esagerato della mozzarella di bufala o sul perfetto connubio tra pecorino romano e bucatini Barilla.

È lì che ho notato che non ero l'unico.
Ho iniziato a vagare per le corsie alla ricerca di conferme e devo dire che non ho fatto per niente fatica a trovarle.
C'è un sacco di gente che parla da sola al supermercato.
Ho trovato dapprima una signora sui 50 anni china sul banco frigo e prodiga di considerazioni a bassa voce sugli yogurt che in quel momento stava confrontando.
Subito dopo ho notato un "singolone" commentare in un angolino le diverse tipologie di salse, concentrato come nessuno e assolutamente non conscio del fatto che stava effettivamente bisbigliando per i cazzi suoi.
Dovevate vedere le espressioni del volto di entrambi.
Sembrava proprio che questi tizi fossero davvero a casa loro da soli, non si preoccupavano minimamente di passare per pazzi, e questo probabilmente perchè il loro livello di controllo su loro stessi era davvero minimo rispetto al normale.
È bastato un ragionamento su uno yogurt per far decollare all'interno di un cervello un comportamento a prima vista assurdo, ma che denota a mio avviso semplicità e spontaneità.
Bellezza e commozione pura, come quella dei bambini.

Ci si sforza di rimanere seri, di ragionare sui nostri comportamenti.
Di lanciare codici conformisti con il nostro abbigliamento in maniera tale da farci accettare dal resto del mondo.
Ci sforziamo di inserirci in un reticolo di comportamenti sociali che ci metta al riparo da brutte sorprese o da possibili emarginazioni.
Alla fine, però, caliamo le nostre difese artificiose come i pantaloni di fronte alla latrina e ci perdiamo a bisbigliare da soli ai tubetti di maionese.
Alla fine un briciolo di umanità, un brandello di imperfezione ci è rimasta.
Ma non so se basterà a cambiare le cose.

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domenica 8 maggio 2011

Felici di essere schiavi







Ho letto un articolo molto interessante riguardante il significato moderno di democrazia.
Si diceva che viviamo in un epoca in cui la democrazia formale ha ormai soppiantato sotto tutti i punti di vista il concetto di democrazia reale.

Non sopporto quando le persone rispondono alle lamentele di altre adducendo motivazioni legate alle possibilità formali di cambiare la situazione.
Mi spiego meglio:
Critichi l'atteggiamento del tuo datore di lavoro riguardo la gestione del personale oppure sulle scelte relative ai tagli alla produzione?
C'è sempre qualcuno pronto a dirti: "se la cosa non ti sta bene fonda la tua azienda e gestiscila come vuoi"
Ti lamenti dell'atteggiamento elitario dei partiti politici?
"se la pensi così fonda il tuo partito. La costituzione lo permette..."

La democrazia in questo momento storico è solo una grossa bugia.
Una bella verniciata, una spruzzata superficiale su quattro pareti decrepite.
Le persone non possono decidere nulla.
Non possono decidere i candidati alle cariche rappresentative del paese e non possono presentarsi in quanto superate da chi non ne avrebbe diritto.
Le informazioni sono castrate sul nascere, mentre si sa tutto dell'ex ragazza del vincitore del Grande Fratello.
Perfino i referendum possono saltare da un momento all'altro grazie a stratagemmi di Palazzo, a becere manovre di partito.

Bisognerebbe insegnare alle persone a ragionare...
Felici di essere schiavi.
Mi domando se magari a qualcuno possa andare bene così.
Ma si potrebbe anche aggiungere un altro pensiero, secondo me molto più importante e a mio avviso davvero illuminante riguardo la questione.
"Nessuno può farti sentire inferiore senza il tuo consenso" disse una volta Eleanor Roosvelt
Bisognerebbe che tutti ce ne rendessimo conto.
Al più presto, però.


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sabato 30 aprile 2011

Vasco mi manda affanculo







Stamattina mi sono alzato un po' più tardi del solito.
In sottofondo ho gli "Explosions In The Sky" e mi ritrovo automaticamente una merendina tra le fauci.
Sono ancora in pigiama.
Negli ultimi giorni ho comprato 12 cd e ne ho ordinati altri due.
Direi che ho un po' di materiale da ascoltare nei prossimi giorni.
La mia attenzione principale è però dedicata al nuovo disco dei The Death Of Anna Karina che un amico mi ha regalato.
Peccato che l'abbia dimenticato in macchina.
Mi accontento degli EITS, ed è un bel sentire.

Gli Explosions mi fanno pensare al passato.
Sono andato a rivedere il vecchio blog del gruppo nel quale suonavo, mi sono tornate in mente tante cose.
I negozi di dischi che chiudono per mancanza di clienti (in una città come Brescia, seconda per numero di abitanti in lombardia ne rimane soltanto uno) e i grandi megastore che vendono pile di cd a prezzi scontati con le solite facce.

Le solite facce di cazzo, oserei dire.
Come quelle che mi capita di incrociare su un video girato in un quarto d'ora avente come sfondo un telo verde e un ubriacone che muove le mani come un animaletto indispettito da ciò che lo circonda.
Per di più si pettina le sopracciglia con il dito medio intendendo con questo sapiente gesto mandare affanculo i suoi detrattori.
Non gli basta avere il monopolio della musica in Italia avendo fatto terra bruciata intorno a sè.
Non gli basta il fatto che potrebbe tranquillamente registrare un disco di scoregge e rutti per andare primo in classifica senza batter ciglio.
Non gli basta dimostrare in tutte le salse che lui ha qualcosa in più degli altri.
No, non gli basta.
Deve mandare affanculo chi lo critica con un gesto che neanche la mia cuginetta di otto anni potrebbe architettare per sfogarsi con il compagno di classe che le ha rubato la merenda.
Va bene, mi prendo il vaffanculo.
Mi sento il destinatario di quel video.
Ne sono contento, orgoglioso.

Nel prossimo video, girato con lo sfondo di un telo marrone, mi aspetto che lui si tiri giù i pantaloni e mi mostri le chiappe, in segno di disappunto per le critiche che molti gli muovono.
L'inquadratura sono certo che sarà perfetta e il nostro non dovrà neppure smettere di fare il suo playback mentre mostrerà il suo sfintere.
La parole si capiranno benissimo lo stesso e come al solito verranno additate come poesia metropolitana cariche di malessere e inquietudine.
Grande Vasco
Sei un mito per tutti noi.
Va bene così?


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lunedì 25 aprile 2011

I buoni lo pensano, i cattivi lo fanno.




Ho letto una curiosa intervista dello scrittore Raul Montanari in cui si cita il filosofo americano Simon Robert.
Quando ho letto quelle poche righe mi sono subito reso conto dei collegamenti e delle attinenze con quanto scritto nel mio libro e, in generale, con la tempra e le caratteristiche del personaggio che ho creato.

"Sono convinto Che l'Altro sia sempre di fianco a noi. L'Altro può essere la vita che non conosceremo mai, il sentiero che non abbiamo preso al bivio. Può essere la nostra metà malvagia che combatte per imporre i suoi impulsi selvaggi (ma liberi) alle costrizioni a cui si sottopone la metà buona (o ipocrita). L'Altro può essere ciò che ci siamo lasciati alle spalle o ciò che non avremmo mai potuto essere.
L'Altro è dio. È impossibile fare letteratura senza parlare di dio. Anche un ateo come me parla di dio, si riferisce a dio. L'Altro è l'abisso mentre tu ti affacci. Se uno non sente queste cose mentre scrive, scrive solo cazzate"

Molto interessante, davvero.
Il protagonista di "Io mi carico di rabbia" l'ho costruito esattamente sulla base di queste osservazioni. Si tratta di sfumature, particolari. Ma l'idea di base parte dal fatto che Roberto Lima è in grado di affacciarsi sull'abisso come nessuno di noi, me compreso, avrebbe mai il coraggio.
E, suo malgrado, si relaziona a dio.
Prendendo sempre il sentiero che noi tutti saremmo certi di non imboccare.

Ebbene sì, sto cercando un editore.
Paul Harding ha vinto il Pulitzer dopo aver mendicato per cinque anni un contratto di edizione ed essersi ormai rassegnato a essere uno dei tanti esordienti privi di pubblicazione.
Ho ancora cinque anni davanti prima di arrendermi, quindi.
Cinque anni per imboccare il sentiero sbagliato, cinque anni per affacciarmi sull'abisso e guardare di sotto, ridendo.
Nel domani non c'è certezza, per fortuna.
Ma io il mio personaggio me lo tengo stretto e punto tutte le mie fiches su di lui.
In qualche modo mi ripagherà, non so come ma mi ripagherà.


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venerdì 15 aprile 2011

I Manowar come bussola (al contrario)




Girare a caso nel web è davvero divertente.
Parto dal sito di Caparezza (buono davvero il suo ultimo lavoro...) e decido di leggere qualche recensione on line.
Vai con Google: parole inserite "Recensioni Caparezza"
Mi esce qualcosa di Debaser, un glorioso sito di recensioni di cui mi ero in parte dimenticato.
Scopro alcune novità, compresa quella che se inserisci nel motore di ricerca interno al sito il nome di un gruppo o di un artista trovi i commenti di tutti coloro che ne hanno parlato.
Metto "Afterhours", uno dei miei gruppi preferiti e trovo diversi commenti, praticamente tutti positivi.
Poi mi scappa l'occhio e leggo: "Tecnicamente delle merde, cantante penoso, canzoni basate su 4 accordi del cazzo. I classici figli di papà che si credono alternativi e che invece inquinano il mondo. Teste di cazzo"

Mi metto a ridere, di gusto...
Poi tra un lacrimone e l'altro decido di fare una scommessa: Se clicco sul nome di chi ha postato quel commento potrò vedere chi sono gli artisti preferiti da costui.
"Scommetto che nei primi 30 nomi c'è quello dei Manowar", dico ad alta voce.
"Se perdo vado a letto immediatamente, demoralizzato. Se vinco continuo a navigare".
Faccio un bel sospirone e clicco.
Scorro la lista e i primi nomi mi rincuorano: Judas Priest al numero 1 e Iron Maiden al numero 7 sono quasi un'assicurazione per il futuro.
Ma io voglio loro, voglio vedere se ci sono i Manowar... il gruppo comico della musica mondiale per eccellenza...
Scorro... scorro...
Alla fine eccoli lì, al numero 18.
Quasi in extremis ma eccoli lì.
Con la loro bella fotografia che potete rimirare in cima a queste righe e i loro muscoli da circo.
I loro baffi e le tutine attillate.
Per non parlare della musica... per non parlare della musica...
Che gruppo ragazzi, che gruppo!
Fantastici...

Torno a respirare.
Il mondo è fatto di scatole, di barriere oltre le quali non si può andare.
Trovare i Manowar nella classifica dei preferiti di quel tizio mi fa stare meglio, mi alza abbassa il livello di colesterolo.
Sono dell'idea che la bussola migliore per orientarsi nel mondo sia quella dei contrari.
Se qualcuno di cui non ho stima mi dice che è opportuno che io faccia una cosa, io lo ringrazio sinceramente per il consiglio, senza nessuna ironia.
State certi che farò esattamente il contrario.

lunedì 11 aprile 2011

Elogio della terza corsia







Non so se lo avete notato.
Quando inizia la bella stagione la polizia stradale apre la terza corsia su tutte le statali, soprattutto quelle di collegamento con le zone turistiche.
Di che cosa si tratta?
Beh, della corsia centrale... Quella a cavallo della linea di mezzeria.

Le moto da strada se ne impossessano senza colpo ferire, come se fosse effettivamente di loro proprietà.
Le automobili si scansano a destra e i centauri sfrecciano a loro piacimento danzando sulla linea continua o su quella doppia con leggiadria e spenseriatezza, superando quei poveri coglioni destinati ad aspettare la linea tratteggiata e un tratto rettilineo per procedere eventualmente a un sorpasso.

Loro no.
Loro sorpassano in curva alla cieca ("tanto c'impiego un attimo a rientrare, chi se ne incula se rientro sul cofano a quell'idiota costretto tra quattro lamiere"), passano a una spanna dallo specchietto di sinistra, sfogano i loro cavalli in galleria facendo tremare i muri.
Cosa cazzo volete eh?
Se si sono comprati una moto è per andare veloci, saltare le code, bruciare il codice della strada come se fosse la bibbia in mano a Marylin Manson.
Mica per spostarsi da un posto a un altro.

Loro infatti sono lì.
Il numero 46 tatuato sul cupolino, il giubbino della dainese con il logo ben in vista sulla schiena e le fiamme sulla fiancata.
Ovviamente la targa quasi parallela al terreno (non si sa mai dovesse esserci qualche autovelox o qualche pattuglia) e le marmitte modificate.
Ogni tanto li si vede procedere su una ruota sola in fase di sorpasso (rigorosamente sulla terza corsia a loro dedicata) oppure rischiare la vita pur di restare in coda con l'amico che fugge lontano, ma non è questo il punto.

È la bella stagione che li sveglia dal torpore, su questo non c'è dubbio.
Durante l'inverno si affannano in tangenziale sulla corsia di emergenza per evitare la coda, oppure ai semafori per partire sempre in pole position, quasi come se fosse una macchia sulla propria dignità rimanere per una volta dietro un'automobilista.
Ma la brutta stagione non li soddisfa, non è il loro pane.
Il loro regno è la terza corsia centrale: quella è il simbolo del loro potere, il punto fondamentale per il quale hanno deciso di regalarsi 100 chili di moto con 140 cavalli di potenza motore.

Ma alla fine non bisogna generalizzare, ci mancherebbe.
Infatti l'altro giorno ho visto una moto da strada procedere a normale andatura senza sfrutture la corsia centrale come da suo diritto costituzionalmente garantito.
La guardo strano e penso: "Che bravo questo gentile motociclista, si gode il paesaggio e non sembra interessato a competere come su un circuito..."
Poi guardo meglio.
Ha in mano il telefonino, sta mandando o leggendo un sms.
Coglione io che ho il vivavoce per paura di schiantarmi.

Lui è lì, va a 70 all'ora e manda un sms su due ruote.
Un grande centauro, un grande uomo.
Brum! Brum!


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giovedì 7 aprile 2011

Il sapore della paura, il dubbio della beffa.





Sono un po' confuso.
Su YouTube c'è un filmato sconvolgente.
No, non si tratta delle solite bufale, dei consueti scherzi o minchiate varie degne di un profilo facebook.
Il video è quello di una conferenza tenuta dal giornalista free lance Gianni Lannes ex La Stampa che dice delle cose sconvolgenti.
Dice che il governo ha appaltato a un'azienda in mano alla n'drangheta il compito di smaltire scorie nucleari provenienti da Caorso.
Lui è entrato nella centrale, ha fotografato cammion carichi di materiali pericolosi che sono stati trasferiti a Genova e poi a La Spezia.
Queste scorie sono state poi trasportate su navi che sono tate affondate in alto mare.
Dice che nessuno vuole scrivere di queste cose, neppure i giornali non allineati.
Dice che gli hanno bruciato la macchina ma che lui continua lo stesso.

Qui le cose sono due.
O si dimostra che questo tizio è un pazzo furioso, un malato di mente, un megalomane che va internato e imbavagliato perchè crea allarme sociale in maniera destabilizzante oppure si va a fondo della questione e gli si chiedono prove, fotografie, documenti e tutto il resto.

Succede davvero?
Repubblica e L'Espresso non vogliono pubblicare nulla perchè sono complici del sistema oppure perchè hanno già effettuato i loro rilievi e hanno verificato che si tratta di una bufala divulgata da una persona ammalata?
Ditecelo per favore, qualcuno batta un colpo su questa vicenda.
Non riesco a capire, ma la cosa non mi piace per niente.
Nessuno ne parla e questa è la situazione peggiore.
Una situazione indefinita che puzza di losco.
I nostri figli moriranno mangiando pesce al plutonio?
Vorrei che qualcuno me lo dicesse in modo tale da attrezzarmi per fuggire da questo paese di merda.
Inizio a pensare che forse sia l'unica via d'uscita.


Per vedere il video inserite in google Gianni Lannes.
Guardatelo e inorridite.

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giovedì 31 marzo 2011

Encefalodita, progetto numero due




Capolinea.
La versione definitiva di "Io mi carico di rabbia" è pronta, definitiva e non più sindacabile.
La sto leggendo per l'ultima volta in questi giorni dopo aver fatto ben cinque cicli di correzione e avere eliminato del tutto - o almeno lo spero - errori di battitura, refusi e ripetizioni.
Ormai non ho più motivi di dubitare, il libro c'è, è una realtà e io ne devo prendere atto.
Domani avrei dovuto andare a Milano da un'agenzia letteraria (per la precisione "Grandi & Associati") ma l'appuntamento è purtroppo saltato e rinviato alla prossima settimana.
In ogni caso, al massimo tra otto settimane, avrò una risposta sul possibile significato letterario di questa mia fatica durata poco più di due anni.

In questi ultimi giorni ho lavorato molto per il libro, ma anche ad un altro progetto.
Qualcuno di voi ricorderà che qualche mese fa ero propenso a scrivere dei reading e che per questo avevo coinvolto il mio vecchio gruppo per cercare di dare un sottofondo musicale ad alcuni testi tratti dal mio libro.
L'idea era quella di pubblicare allegato a "Io mi carico di rabbia" un cd musicale contenente almeno 5 brani con altrettanti testi recitati.
Quest'idea era naufragata per colpa di impegni e scazzi vari imputabili ai musicisti da me coinvolti ma la voglia di fare questa cosa non mi era mai passata.

Due settimane fa l'idea: faccio tutto da me.
Suono tutto io: chitarre, basso, batteria, percussioni, effettistica, pianoforte e chi più ne ha più ne metta.
Faccio tutto con GarageBand, applicazione iPad di nuova realizzazone.
Suono tutto con le dita, arrangio e mixo.
L'idea mi piace un sacco.
Decido già il titolo del progetto: "Encefalodita"
Vale a dire: realizzato dalle dita sotto la spinta di un cervello.

Fino a questo punto il risultato è una canzone già finita e completa di tutto (si intitola "Maggio '86") e un secondo pezzo pronto al 50% ("La scena dello scantinato")
Compongo che è una poesia, le idee fioccano.
Il filo conduttore sono alcuni dei capitoli più significativi del libro.
Non vedo l'ora di farvi sentire i risultati, ma al momento ci vorrà un po' di tempo.
Ma il lavoro presegue alla grande, ve l'assicuro.
C'è qualcosa di meglio al mondo che scrivere e suonare?
Forse sì, ma in questo momento non ne sono troppo sicuro....


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domenica 20 marzo 2011

Five Million Club


Sto leggendo il libro di Severgnini "Berlusconi spiegato ai posteri"
Davvero interessante.
Un libro diretto e immediato con l'aggiunta di notevoli intuizioni.
La cosa sulla quale voglio soffermarmi riguarda un aspetto che anch'io nel mio piccolo avevo notato e che si ricollega in parte al post di qualche settimana riguardante Pierpaolo Capovilla e la sua incapacità di leggere la realtà, di non riuscire ad andare oltre la piccola cerchia di fedeli e di confondere questo micro-universo con la realtà italiana nella sua intierezza.
Di che cosa voglio occuparmi questa volta?
Semplice! del famoso "Five Million Club"

Riassumo con mie parole il pensiero di Severgnini.
In Italia cinque milioni di persone comprano i quotidiani (se si escludono i giornali sportivi).
Esattamente cinque milioni di italiani frequentano le librerie e acquistano libri.
Cinque milioni di individui guardano SkyTG24 o il TGla7.
Cinque milioni guardano gli approfondimenti in seconda serata in televisione.
Cinque milioni navigano sui siti di informazione e sui blog di controinformazione.
Il sospetto è che siano più o meno gli stessi, non credete?
E' una fetta importante del Paese? certamente cazzo, cinque milioni di persone corrispondono a cinque milioni di voti... ci mancherebbe che non siano importanti...
Ma la domanda è un'altra.
Sono DETERMINANTI?
La risposta di Severgnini è NO, e io concordo con lui.

Qualcuno infatti ha già battezzato questa fetta di popolazione come ininfluente... già schierata... impossibile da influenzare in quanto in grado di far girare i neuroni per sua abitudine.
Questo qualcuno ha pensato bene di utilizzare di conseguenza altri modelli (infinitamente più potenti) in grado di agganciare un quantitativo di consenso pari almeno a 10 volte tanto il famigerato F.M.C.

E' come quando un tennista è in vantaggio di due set a zero e si trova sotto di tre giochi nel terzo set.
Decide di riposarsi e regalare il set all'avversario pur di essere riposato e determinato nel quarto decisivo set...
Stessa cosa, applicato naturalmente alla politica e alle strategie di marketing, che spesso si confondono.

Conclusione:
Programmi come Report? giornali come Repubblica o il Corriere della Sera? il blog di Grillo? i libri di Umberto Eco e quelli di Saviano?
Li guardano/comprano/leggono sempre gli stessi.
Gli iscritti al Five Million Club.
Tutti gli altri dalla "Maria Nazionale", in cucina dalla Parodi, su Facebook ad aprire i biscotti della fortuna oppure quando va bene a vedere la "terribile satira" e le strabilianti inchieste di un pupazzo rosso che parla genovese.
Secondo voi nella società contemporanea ha inciso di più Boncompagni o Giorgio Bocca?
Troppo facile la risposta, vero?

Personalmente vorrei tanto restituire la tessera del Club e dire al presidente che ha sbagliato tutto.
Che non riuscirà a combinare un bel cazzo se il Club continuerà ad andare in questa direzione.
Che bisogna rivedere l'intero sistema, porre regole, ripartire dalla scuola.
Lo farei.
Se solo si capisse chi minchia è il Presidente del Five Million Club

domenica 13 marzo 2011

Questo è solo un post commemorativo. 10.000 volte click




Sono diecimila i contatti di questo blog e a me sembrano tantissimi.
15 mesi di pensieri, sfoghi, riflessioni e per che no anche di cazzate ed errori.
Illusioni, forse.
Delusioni e sorprese, pure quelle ci metterei.

10.000 volte click vuol dire un progetto che funziona, la voglia di non mollare.
Sapere che dall'altra parte c'è qualcuno che osserva e legge.
Che mi degna del suo tempo prezioso.

L'unica cosa che cambierei in tutto questo sono stati gli insulti che talvolta sotto forma di commenti mi sono arrivati.
Ovviamente non sono stati pubblicati.
Al contrario ho pubblicato commenti critici e velenosi, ma questi meritavano di essere letti e rimanere nella vita di questo blog.
Ovviamente ringrazio tutti.

Mi piacerebbe scrivere di più ma vi assicuro che sono già al massimo degli sforzi possibili.
Ma qualcosa in più si può sempre fare.
Ora bando ai sentimentalismi.
Leggete qui sotto che ieri ho postato.
Questo è solo un post commemorativo, uno dei più cazzuti che ho mai scritto.

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sabato 12 marzo 2011

Esaurimento Nervoso per uno Scrittore Molesto




Il mio primo libro l'ho buttato giù in poco più di un anno.
Prima di darlo alle stampe l'avrò riletto non più di 3 volte.
Ok, si trattava di una raccolta di 12 mini-storie e le pretese tutto sommato non eran molte... Ma non avevo fatto granchè fatica nell'arrangiare tutto il discorso, tutto era filato abbastanza liscio.
All'epoca mi ero illuso di poter scrivere con facilità.
In realtà mi sono accorto già da tempo che le cose non stanno propriamente così.

Ho finito si scrivere "Io Mi Carico Di Rabbia" verso la fine dell'anno scorso.
Sono più di tre mesi quindi che sono in fase di correzione.
Prima a video, poi su pagina scritta.
Il lavoro è stato immane ma sembra che sia riuscito a venirne a capo.
Il problema grosso è un altro.
Il Maledetto primo capitolo.

Tutto il libro fila liscio come piace a me.
È fluido, diretto.
Scorre.
Il Fottuto, Maledetto Primo Capitolo non gira.
Non è mai girato.
L'avrò corretto almeno una dozzina di volte, forse più.
Ieri sull'orlo dell'esaurimento nervoso ho deciso di riscriverlo interamente.
È la mia ultima spiaggia.
Ci ho passato sopra altre tre ore, con fatica.
Con frustrazione, per un risultato che tendeva un'altra volta a non soddisfarmi pienamente.
Alla fine porto a casa un pareggio, dopo essere stato lungamente in svantaggio e avere sbagliato un calcio di rigore al novamtesimo minuto.
Proprio come il Brescia ieri sera in casa contro l'Inter.
Va bene così, non sarà il capitolo migliore del libro ma c'è da sperare che il lettore non si fermi a quel primo Maledetto capitolo.
Del resto ne ho veramente piene le palle di scrivere quel capitolo.
Lo rileggerò tra una settimana e se non andrà di nuovo bene lo butterò nel cesso e lo scriverò per la terza volta.
Che ci vuoi fare, l'esaurimanto nervoso è una gran brutta bestia.

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lunedì 7 marzo 2011

Critico d'arte dei miei coglioni



A volte i critici sono proprio delle teste di cazzo.
Badate bene, chi scrive si considera tale (critico, non testa di cazzo...) ma a volte la categoria è davvero insopportabile.
A volte l'ho fatto anch'io, è vero...

Quando scrivevo su una fanzine musicale (fanzine?? che roba è?? forse quella cosa anni '90 che è scomparsa nel nulla con l'avvento dei blog??) mi è capitato ancora di stroncare in malo modo un demotape (demotape?? volevi forse dire file MP3!!) che non aveva veramente nulla di buono.
Ho ascoltato la mia cassettina 5-6 volte e poi giù di mannaia sulle colonne della gloriosa e ormai defunta "La Pecora Nera" (http://digilander.libero.it/lapecora/index.htm)
Però le recensione erano articolate, approfondite.
Insomma, si poteva dissentire dalla valutazione finale ma in ogni caso le ragioni erano tutte lì.
Per qualcuno evidentemente non era sufficiente, visto che in un'occasione mi fracassarono lo specchietto del mio vecchio Panda e in un'altra rischiai di prendere due pugni in un pub per aver smascherato un tramino tra un gruppo e un'amministrazione comunale compiacente.
Ma queste sono altre faccende.

L'Espresso.
Pagina di recensione dei film.
The Swan, il cigno nero.
Al cinema l'avevo visto due giorni prima.
A mio avviso grande film, candidato a molti premi Oscar... obiettivo raggiunto per quello relativo alla "migliore attrice protagonista".
Un film visionario, criptico... malato.
Il regista è lo stesso di The Wrestler, altro capolavoro premiato con l'Orso a Berlino qualche anno fa.

Recensione dell'Espresso: n. 4 righe
"Regia kitch... involontaria comicità..."
Nient'altro.
Davvero un critico testa di cazzo, nessun dubbio.
Sono andato a letto dopo aver visto il film e ho passato in rassegna tutto il racconto, tutte le visioni e le allegorie. Il lavoro è enorme, immane.
I passaggi sono complessi, il film si spinge in territori mai esplorati, la recitazione perfetta ed efficiace.
Mi immagino quanti ciak, quanti studi...
Quanto tutto.
Poi arriva uno stronzo sull'Espresso e in quattro righe ti denigra buttandola sull'involontaria comicità.

Vedo già il mio libro.
Due anni della mia vita e ci sarà qualche idiota che lo liquiderà con tre righe o due parole, tipo "Carino, non male..." oppure "Non mi è piaciuto... troppo... troppo... insomma troppo..."
Troppo un bel cazzo.
Se non sai cosa dire stai zitto "critico cinematografico dell'Espresso"
E se proprio vuoi parlare commenta "Vacanze di Natale" dei Vanzina o il Ricettario della Parodi.
Al massimo quello riesci a fare.

lunedì 28 febbraio 2011

Downshifting per me, per voi, per tutti.






Nei paesi anglosassoni dicono che si stia diffondendo in maniera sempre più massiccia coinvolgendo soprattutto professionisti di livello medio-alto e lavoratori con carichi di responsabilità sopra la norma.
Ora sembra che anche in Italia ci sia una tendenza a questo tipo di comportamento.
Si chiama downshifting, e significa letteralmente "scalare marcia", ridurre la velocità, riprendere a respirare.
Ci hanno insegnato che non bisogna mai stare fermi, che bisogna correre.
Che bisogna aumentare il ritmo, non accontentarsi mai.
Che tutti gli sforzi saranno retribuiti profumatamente.
Che le percentuali da raggiungere sono da raggiungere, sennò che cazzo di obiettivi sono?

Il downshifting parte proprio da qui.
Lavorare meno, tirarare il fiato.
Certo, la cosa si traduce in minori entrate economiche ma dopotutto abbiamo proprio bisogno dell'abbonamento alla pay tv? Dell'ultimo modello di cellulare?
Delle vacamze per forza di almeno due settimane in posti esotici?

Fare downshifting non significa abbandonare tutto e scappare in montagna a fare l'eremita.
Non significa filosofeggiare e vivere con la testa tra le nuvole.
Significa riprendere il discorso della propria vita in mano, cercare di godersi la propria esistenza e non utilizzare semplicemente il tempo libero per recuperare dalle batoste delle giornate lavorative.
Penso che inizierò a pensarci seriamente.
Il mio apparato digestivo, il mio sistema nervoso, il mio corpo me lo stanno chiedendo.
E io darò loro ascolto.

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domenica 20 febbraio 2011

La dignità di Alessandra Amoroso


Ho sentito su You Tube l'intervista di Linus e Savino ai Verdena, ovviamente a Radio DJ.
Gli stessi hanno dichiarato che è stata l'intervista più difficile e imbarazzante di tutta la loro carriera.
Dovete assoltamente sentirla.
Alberto in mezz'ora ha detto non più di 20 parole, Roberta ha tentato di dire qualcosa ma proprio non le uscivano le parole, i concetti.

Il loro disappunto per essere lì in quel momento era palese, così come l'indifferenza per quel mondo che non capivano e volevano continuare a non capire.
Stanchezza, riluttanza.
Voglia di prendere le distanze, di prendere per il culo un mondo fatto di decerebrati, di DJ incasellati e terribilmente in imbarazzo nell'affrontare due interlocutori con un approccio scontroso e diverso dal solito.
I Verdena odiano le interviste ma le fanno a modo loro, in attesa che i discografici finalmente si degnino di dire basta con queste manfrine.
Odiano anche suonare in playback e se vanno a Top Of The Pop lo fanno in grande stile, prendendo per il culo tutto il ridicolo sistema su cui si basa il programma.
(http://www.youtube.com/watch?v=SkAdzNkawms&feature=youtube_gdata_player)
I Verdena non vogliono parlare, spiegare, ridere e fare battute.
Loro vogliono suonare e comunicare con le loro armi, lasciando tutto il resto fuori dalla loro porta.

Qualche giorno fa allo show della Cabello c'era Alessandra Amoroso.
Le hanno fatto fare di tutto, a comando.
Prima cantare con Arisa una canzone che entrambe non conoscevano, solo con il la-la-la.
Poi le hanno fatto cantare un pezzo di una sua canzone con la voce da bambina, svilendola, con il sottofondo di risate dello studio.
Poi la Cabello ha ordinato: "Adesso fai una strofa con la voce da bambina e poi una strofa con la voce normale..."
Poi le hanno detto che è una feticista della spalla sinistra nuda perchè in tutte le foto indossa vestiti che le lasciano scoperta quella parte di corpo.
Poi l'hanno fatta battibeccare con Arisa.
Poi l'hanno presa per il culo per la risata da gallina che scattava a intervalli regolari.
Un vero delirio di deficienza, un programma di merda
Una ragazzina incapace di gestire la propria persona.

Il mainstream è così.
Se ti crea, se ti dà da mangiare poi ti tiene al guinzaglio, ti umilia.
Prende solo persone deboli, incapaci di dire di no.
Ti costruisce un mondo di pailettes e ti tiene in pugno dicendoti che le regole sono quelle e se non le voi seguire di sicuro farai una brutta fine.
Che puoi tornare nella polvere con la stessa velocità con la quale sei stato innalzato sugli altari.

Il mainstream ci prova con tutti, anche con le persone sbagliate, quelle che proprio non ci sentono da quell'orecchio.
Tenta di corromperle facendo loro annusare un profumo inebriante, quella della fama e della gloria.
Ci sono persone che non ci cascano, che rimangono salde alla barra del loro timone.
Che dicono no, grazie.
E che fanno la figura dei diversi, mentre invece gli anormali sono quelli che svendono la propria vita e la propria dignità.
Coloro che pur di rimanere a galla si agitano il più possibile.
Non rendendosi conto che in realtà sono finiti nella sabbie mobili e che più si agitano più andranno a fondo.

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martedì 15 febbraio 2011

Capovilla, coleremo a picco. Svegliati.


Intervista a Pierpaolo Capovilla, voce de Il Teatro Degli Orrori.
La vedo su Rock Tv, e spero che ne esca fuori qualcosa di interessante.
Spesso succede così quando a parlare sono i musicisti.
In effetti qualcosa di interessante capita.
Questi in sintesi i passaggi più significativi.

"In questo periodo ho girato moltissimo su e giù per l'Italia, isole comprese. Ho trovato un paese diverso, che vuole cambiare. Dobbiamo mandare a casa al più presto questa classe politica. Le persone che ho incontrato sono pronte a cambiare pagina e questo è il momento giusto."

Ancora: "Il Teatro Degli Orrori è un elemento di rottura. Se possiamo contribuire e pensare che siamo stati anche solo in piccola parte un elemento che ha portato la società al cambiamento... Beh, ne saremo veramente orgogliosi."

Mi chiedo che paese abbia visto, in tutta sincerità.
Certo, fare 50 concerti in sei mesi può dare l'illusione di vedere una nuova Italia.
Si parte con il furgone si arriva nei piccoli club o nei centri sociali, tutti ti acclamano, fonici e organizzatori che ti ringraziano per quello che fai e per quello che dici.
Persino in pizzeria (convenzionata con il locale) sono tuoi fan e ovviamente di sinistra. Tutte le sere fai il tutto esaurito... 1500-2000 persone che la pensano come te perchè amano quello che dici e suoni.
Bello, ma siamo sicuri che il Paese Reale sia davvero questo?

Mentre il TdO suona facendo 2000 paganti va in onda "C'è Posta Per Te" che fa più di 9 milioni di share e che stermina intere generazioni proponendo un modello di emotività pericoloso come l'uranio.
Mentre Capovilla rilascia un'intervista nella saletta della Fnac di Torino con ben 150 persone presenti (e già tutte dalla sua parte) va in onda il TG5 che fa milioni di contatti spacciando per notizie fandonie costruite ad arte e tacendo cose che andrebbero urlate.
La Parodi con il suo libro di cucina che surclassa Umberto Eco.
Nessun disco rock indipendente ai vertici delle classifiche di vendita da almeno 15 anni (gli ultimi a fare l'impresa furono i C.S.I. di Tabula Rasa Elettrificata).
Devo continuare?
E questa spocchia nel considerarsi elemento di rottura con LA SOCIETÀ che ha intenzione di cambiare?

Capovilla parla come un quindicenne infatuato da Marx, sbandierando un contatto con il mondo che non ha, portando avanti una visione romantica di cambiamento e di società dedita a un nuovo corso che non è possibile individuare allo stato attuale.
Dice che molti ragazzi preferiscono spegnere la televisione e andare ad un concerto.
Balle: per uno che ci va, cinquanta vanno in discoteca a farsi di ecstasy. E gli altri rimangono a casa sognando di entrare al Grande Fratello.

Ci sono voluti due decenni del mezzo più potente in assoluto - la televisione berlusconiana - per mutare pelle alla società italiana e questo qui pretende di fare il capopopolo e vede la società cambiare.
Da sbellicarsi dalle risate.
E il bello è che c'ha più di 40 anni...
In definitiva perfetto per il ruolo di nuovo segretario del Partito Democratico.

A proposito: One Dimensional Man (il primo gruppo di Capovilla) era dieci volte migliore rispetto al progetto attuale.
Il TdO ha semplicemente rubato il pubblico dei Marlene Kuntz occupandone la fascia di mercato.
E i testi fanno cagare come pochi.



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domenica 13 febbraio 2011

Il cinema e l'esofagite di grado severo


Soffro di reflusso gastrico "di grado severo", come recita l'esame istologico che ho fatto qualche giorno fa.
E' una gran rottura di palle, tant'è che anche per il 2011 sono a posto con le visite al pronto soccorso (vedi profilo a lato..) visto che ci sono finito due settimane fa.
Mentre mangio a volte ho l'impressione di avere un corpo estraneo in gola, come se il boccone non andasse nello stomaco ma rimanesse in gola.

Ieri sera sono in pizzeria con mia moglie e decido che è meglio staccare il primo bottone dei pantaloni e la cintura per evitare il fattaccio.
Un po' più di agio, cazzo.
Esco dal ristorante e decido di riagganciare la cintura al primo buco (quello più largo) e di continuare a tenere slacciato il primo bottone dei pantaloni.
Mi aiuto con una mano per tenere su i pantaloni, giusto il tempo di arrivare in macchina e poi al cinema.

In sala, prima della proiezione, commetto un errore.
Decido di fottermene del posto assegnatomi e convinco mia moglie a sederci dove capita.
Togliamo i cappotti, poi lei decide di andare in bagno prima che il film cominci.
Arriva una comitiva di dieci persone e toh! che combinazione! i loro posti sono proprio quelli dove ci siamo seduti...
Chiedo scuso e me ne vado.
Prendo il mio piumino con una mano e il cappotto di mia moglie con l'altra.
Individuo i nostri posti.
Sono in fondo alla fila C, poltrone n. 16 e 17.
Mi faccio tutta la fila chiedendo permesso e dando le spalle alle persone già sedute.

Ci impiego non meno di 30 secondi, con un passo laterale da lumaca visto gli spazi ridotti al minimo.
"scusate..." "scusa..." "devo arriavare giù in fondo..."
Il problema è che ho i pantaloni che mi scendono, non so come tenerli su visto che ho le mani impegnate.
Ogni tanto me li tiro su in qualche modo ma tre secondi dopo sono al punto di prima.
Drammatico, ve l'assicuro...
Ho fatto vedere a tutta la fila il retro della mia felpa con la scritta "NIRVANA", ma questo non deve aver destato scalpore.
In compenso ho paura di aver mostrato il culo con pantaloni abbassati a ben più di una persona, e per di più a distanza ravvicinata.

Arrivo ai nostri due posti ma sono occupati.
Poco più giù ce ne sono di liberi.
Decido di fare sloggiare i due tipi, non voglio più fare figure di merda almeno per questa sera.
I due si alzano e mi guardano come dire: "Beh? potevi anche sederti nella fila sotto che era libera del tutto"
La gente non capisce un tubo.
E soprattutto non ha "l'esofagite di grado severo"
 
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