venerdì 29 gennaio 2010

Lo "sfigato" al tavolo da gioco

A volte ho la netta sensazione che le persone siano tutto il contrario di quello che sembrano.
Incontro quello che in molti definirebbero "uno sfigato" (niente donna, macchina scassata, aspetto trasandato...) e mi rendo conto che se ci fosse un terremoto come quello di Haiti probabilmente sarebbe uno di quelli in grado di sopravvivere, di affrontare le emergenze, di farsi forza.

Al contrario vedo fior di professionisti incravattati, (parlantina e sguardo deciso, come la loro stretta di mano) che al primo accenno di mal di schiena pensano già a un tumore maligno.
E che se non avessero vicini mamma-e-papà (all'età di 30 anni) sarebbero perduti.
"Da chi andrei a fare colazione?", - mi disse uno di questi tipacci una volta - "mia mamma mi prepara la spremuta tutte le mattine!"

Non è però questione di essere mammoni o meno, Brunetta qui non c'entra un cazzo.
C'entra invece l'approccio con il quale si guarda alla vita.
Se sei disincantato, cinico il giusto (attenzione: ho detto il giusto) e aperto alle possibilità che tutto un giorno ti cada addosso allora, probabilmente, potresti vivere con una certa propensione allo star bene.
Se punti tutte le tue carte su te stesso, su quello che rappresenti, sui valori borghesi, beh... meglio che ti prepari: la tua vita sarà un inferno e le notti passeranno lunghe come quelle di chi si sente accerchiato senza via d'uscita.
Il vero azzardo alla roulette è quello di chi, tutte le mattine, punta una sola fiche temendo di perderla.
Meglio puntarne due e farsi una grossa risata sia in caso di vittoria che in caso di sconfitta.

lunedì 25 gennaio 2010

Gli 85 anni di Borges

Vado nei pressi della scrivania di un mio collega.
Lui non c'è.
Mi giro un attimo e sul muro vedo quello che non avevo mai notato, cioè una poesia di Borges.
Messa lì, stampata e appiccicata sul muro fresco di recente imbiancatura.
La leggo...
Parla dello stesso Borges, dice che se tornasse indietro farebbe un sacco di cose che non ha fatto, che lascerebbe a casa il paracadute.
Insomma, una poesia sulla necessità di non avere rimpianti, una specie di obbligo morale che chiunque dovrebbe avere.

Una necessità impellente per qualsiasi essere umano.
Lasciarsi andare, andare fino in fondo, credere di dover vivere ogni minuto come se fosse l'ultimo.

Il mio batterista preferito (Dario Parisutti, ex degli One Dimensional Man) colpiva tutte le volte i suoi fusti come se fosse l'ultima volta, come se ogni colpo non potesse più essere ripetuto in tutto il resto della sua vita.

Poi la poesia si chiude in maniera acida, direi drammatica.
Dice più o meno così: "vorrei averlo fatto, vorrei farlo... ma ora ho 85 anni e non ho più una vita a cui pensare".
Mi sento come se mi avessero dato un calcio nei coglioni.
Vorrei evitare di arrivare così a 85 anni.
E magari vorrei evitare di arrivare a 85 anni, ve lo giuro.

venerdì 22 gennaio 2010

Nuovo Ordine Mondiale (del cazzo)

La mania dell'ordine mi ha sempre disturbato.
Per questo il protagonista del mio libro è profondamento ordinato, oserei dire eccessivamente e violentemente ordinato.
Non capisco che cosa ci sia di sacro nel mettere "le cose al loro posto", come molti declamano in maniera aulica convinti della assoluta necessità di questo comportamento.

Lo capisco solo ed esclusivamente quando non trovo una cosa, ma questo è tutt'altro paio di maniche: gli "ordinati" non mettono in ordine per trovare le cose in maniera più semplice e immediata, lo fanno solo per sentirsi a posto con la coscienza, per sentirsi adeguati, in pace con dio.


Che poi nascondano questa loro deviazione mentale dietro "la necessità di trovare gli oggetti" è assolutamente comprensibile, non a tutti piace mettere in piazza le proprie deviazioni.


Ovviamente, da disodinato, mi sono dato un voto in questa speciale disciplina (voto 7+) accorgendomi successivamente del fatto che convivo con una persona, anch'essa disordinata, a cui darei con assoluta tranquillità e obiettività 8.
Mi ritrovo quindi spesso a sistemare una serie di oggetti (di cui nulla mi importa) solo ed esclusivamente per cercare di eliminare una strana sensazione di ansia legata al fatto che riconosco in lei un "pregio" che in me rivedo in misura meno marcata.

Così mi ritrovo a chiudere i coperchi degli shampoo, spostare saponi al loro posto, sparecchiare la postazione del PC dalla presenza di tazze di the, confezioni di biscotti aperte e cucchiaini appoggiati accanto al mouse.

E così mi scopro ordinato, pedante, frustrato e cannibale di me stesso.
Tutte "qualità" che in qualche modo rivedo nel personaggio del mio libro.
Bel problema.

mercoledì 20 gennaio 2010

Politica dei gesti: eccellente... eccellente...

Ho in testo un concetto chiaro del termine "politica".
Politica non è votare, non è far parte di uno schieramento partitico, non è candidarsi.

Forse una volta lo era, ma è chiaro che le condizioni per ridurre il concetto a queste semplici operazioni, tipiche dei decenni passati, non ci sono più.

Per me "politica" è essenzialmente perseguire uno stile di vita produttivo di messaggi per gli altri individui. Io stesso sono influenzato fortemente da chi svolge attività politica in questo senso e - a mia volta - cerco di produrre messaggi, elaborare strategie comunicative, estrinsecare input al fine di coinvolgere persone a riflettere su alcune faccende affinchè queste - a loro volta - possano passare il messaggio.

Tutto qua.
Non voglio convincere nessuno e non voglio fare proselitismo (e chi cazzo sono io per farlo?).
D'altra parte sono altamente convinto dell'orrore del "farsi i cazzi propri" che considero volgare e ingiusto, banale e non degno di una persona dotata di un minimo di intelletto.

Tutto quello che facciamo è un atto politico: indossare una maglietta o un'altra non è la stessa cosa. Fare un lavoro oppure un altro, non è la stessa cosa. Visitare un sito e dare sostegno concreto a una iniziativa è un atto politico di una alta rilevanza, come rifiutarsi di comprare profumi o di indossare i guanti di plastica al supermercato per toccare la frutta.

Per che cazzo devo indossare i guanti per toccare una mela? per migliaia di anni le abbiamo toccate e non è successo niente! tanto poi la sbuccio...
Riempire secchi e secchi di materile plastico usa e getta è invece una gran cazzata, questo è invece un dato di fatto.
Che provi qualche commesso coglione a dirmi che devo indossare i guanti per toccare la frutta... che ci provi...

domenica 17 gennaio 2010

Polaroid dell'inconscio


Pensandoci bene questa cosa non l'ho mai detta... beh meglio tardi che mai.
IO MI CARICO DI RABBIA avrà quattro illustrazioni al suo interno, quattro disegni.
Ho assoldato un serial killer (oddio, diciamo un disegnatore ma il suo ruolo sarà quello di killer visivo...) per illustrare quattro capitoli del libro nei quali Roberto scatterà altrettante fotografie.

Ovviamente si tratta di fotografie un po' particolari, tant'è che nella maggior parte dei casi il "nostro" fotografo allestirà dei veri e propri set fotografici grazie ai quali cercherà di ritrovare un equilibrio mentale che sembra avere smarrito (oppure mai davvero posseduto).

Ieri mi è stata consegnata la prima di queste illustrazioni e devo dire che sono molto soddisfatto.
Il mio "fornitore-killer visivo-disegnatore" ha fatto davvero un buon lavoro, basandosi solo ed esclusivamente sul capitolo che gli ho fornito (ebbene si, lui è l'unico oltre a me e al mio correttore di bozze ad avere letto qualche capitolo).
Non ho voluto fornirgli nessuna chiave interpretativa nè spiegare come volevo l'immagine: doveva caversela per gli affari suoi, trovare il bandolo della matassa e mettere un'immagine mentale su un foglio, cosa per niente facile.

Prova superata e nuovo capitolo consegnato per l'elaborazione della seconda "immagine/fotografia".
Questa volta, però, per lui sarà più difficile della prima...
Molto più difficile, ve l'assicuro.

mercoledì 13 gennaio 2010

Niente sconti, nessun prigioniero, cazzotti nello stomaco e coraggio narrativo


Da circa due settimane sto facendo un lavoraccio infame.
Ho ripreso tutto il libro (al momento circa 120 pagine formato A4) cambiando tutti i tempi verbali, passo dopo passo.
Inizialmente avevo pensato che un'alternanza di presente e passato prossimo fosse la soluzione migliore, non accorgendomi del fatto che tutto gli avvenimenti sono "raccontati" dal protagonista, quindi si tratta sostanzialmente di un corposo nucleo di flashback (a volte a ritroso).
Ho deciso quindi di utilizzare un'alternanza di passato remoto e passato prossimo, anche in funzione del tipo di approccio narrativo che ho deciso di sviluppare.
Infatti tutto quando è raccontato non "da un osservatore esterno" ma "dallo stesso protagonista" e questa impostazione facilita l'utilizzo del passato remoto in termini di INCISIVITA'.
Ovviamente non sono io a dirlo, mi limito a prendere atto di alcune posizioni tecnico-stilistiche che ho rivisto in alcuni libri che mi hanno convinto.
E poi sono sicuro di una cosa: per scrivere un buon libro bisogna scrivere quello si vuole leggere.
Il libro che mi piacerebbe scrivere non esiste? ok, lo scrivo io.
Inizialmente pensavo che qualche "piccola concessione alla platea" fosse necessaria.
Ora penso che il contrario: per piacere a qualcuno bisogna essere puri, guardare se stessi e scrivere il libro che si vorrebbe leggere.
Niente sconti, non si fanno prigionieri, cazzotti nello stomaco e tanto coraggio narrativo.
Ecco i quattro comandamenti che sto seguendo.
Avanti così, cazzo.

martedì 12 gennaio 2010

Battagliare per qualcosa

Nelle ultime due settimane ho fatto incetta di dischi.
Quello che sto ascoltando in questo momento in maniera più assidua è il live dei Nirvana "Live at Reading", mica pizza e fichi.
Me ne sbatto altamente le palle dei presunti inediti del gruppo di Seattle, delle b-side o di altre cazzate di questo tipo.
Però il live è il live...
Sentire quella voce sgraziata, rugosa e piena di spigoli dare vita a pezzi come "Come as you are" "School" o "Territorial pissing" è ancora un'emozione da provare.
Il CD si sente "così così", a tratti si deve anche un po' immaginare (soprattutto a livello di chitarra).

Quello che fa specie è l'atmosfera che si respira: feedback di chitarra, feeling enorme con il pubblico e la netta sensazione che si stia vivendo (in questo caso "solo" ascoltando) una specie di battaglia sul palco.

Cobain morì suicida, come tutti saprete.
Beh, l'impressione ascoltando questo disco è che Kurt fosse veramente sereno solo nel momento stesso in cui saliva sul palco con i suoi due compagni... dovreste sentirlo... una furia.
Trovo questa analogia con il personaggio del mio libro: anche Roberto riesce a tirare un sospiro di sollievo solo quando è dietro la macchina fotografica.
Nel resto del tempo sembra in parte galleggiare, respirare a fatica.
Anche lui tenterà il suicidio (non riuscendoci, a inizio libro).
E le analogie, guardando bene, non finiscono qua.

PS: ho avuto qualche giorno un po' difficile e ho trascurato questo blog.
Domani, per rimediare, post nuovo di zecca con anticipazioni sugose sul lavoro da "minatore" che sto portando avanti su "IO MI CARICO DI RABBIA"
Ciao.

venerdì 8 gennaio 2010

Una vita di straordinario conformismo

Ieri sera ho rivisto 15 anni dopo la prima volta un film davvero interessante, "Un giorno di ordinaria follia" con Michael Douglas.
Praticamente non me lo ricordavo neppure, quindi è stato un po' come vederlo per la prima volta. Alcuni caratteri del personaggio principale sono davvero importanti.
Mi hanno fatto a volte sorridere, a volte pensare.

Non mi hanno però turbato, non mi hanno in alcun modo portato a dire "ma insomma ma questo è completamente pazzo! così non si fa!"

Sarebbe troppo facile esporsi con quel giudizio quando il buon Bill imbraccia un bazooka per far esplodere un tratto di tangenziale.
Oppure quando chiede la colazione con cinque minuti di ritardo e - sentendosela negare - decide di farsela servire minacciando il direttore con una mitraglietta automatica.
Troppo facile.
Il film è davvero inquietante (probabilmente il più inquietante che abbia mai visto) e merita di essere davvero dibattuto a fondo.
Uno di quei rari casi in cui è davvero complicato capire da che parte stare.
Dategli una visione, se non l'avete mai visto e ragionateci un po'.
Io - sinceramente - non riesco veramente a capire da che parte stare.

martedì 5 gennaio 2010

Mi ritorni in mente...

Notizia di questi giorni: negli USA intensificati i controlli sui passeggeri provenienti da paesi considerati "esportatori" di terrorismo: Nigeria, Yemen, Pakistan, Iran , Sudan, Siria, Somalia, Afghanistan, Arabia Saudita, Algeria, Iraq, Libano, Libia e Cuba.

Può darsi che mi sbagli ma non ho notizie che negli ultimi cinquant'anni ci sia stato un solo cubano anche solo sospettato di terrorismo negli USA.

Al contrario ho memoria di innumerevoli tentativi da parte di un servizio segreto statunitense (CIA) di uccidere il Presidente di Cuba (tritolo sotto il palco di una manifestazione, sigari alla dinamite mandati in regalo, ostriche esplosive, cibi avvelenati e molto altro), di invadere il territorio cubano (la Baia dei Porci) tramite mercenari pagati e addestrati dallo stesso servizio segreto, di bombardamenti con aerei USA mascherati con i colori e la bandiera di Cuba per passare inosservati.

Mi ricordo pure di un cittadino di El Salvador pagato dalla CIA per mettere bombe a La Havana un po' qui e un po' là (tipo negli hotel). In uno di quegli attentati rimase ucciso pure un cittadino italiano (Fabio Di Celmo).
Era il 1997, ma nessuno sembra ricordare nulla.
Ovviamente.

domenica 3 gennaio 2010

Rock 'n books yeah!

In questi giorni sto lavorando moltissimo al mio libro.
Almeno 5-6 ore al giorno, agevolato dal fatto che sono in ferie e mia moglie è via per lavoro (ma rientra stasera, per fortuna).
I risultati si vedono, ho concluso un capitolo molto importante posizionandolo all'interno del tessuto narrativo.
E' circa un mese che non aggiungo nessun capitolo in coda ma tendo a sviluppare spazi lasciati vuoti tra capitolo e capitolo che - a mio avviso - dovevano essere riempiti per sviluppare meglio la trama.

Penso che il giusto mix per un libro sia coniugare al meglio un trama complessa (ma lineare) con una forma espressiva con le doti dell'immediatezza.
Parola d'ordine: ritmo nella lettura

La lettura deve essere incalzante, si deve sentire la musicalità delle parole, il loro scorrere.
Sotto questo punto di vista il fatto di aver scritto per 12 anni i testi (in italiano) di una rock band mi è stato di grandissimo aiuto.
Probabilmente non avrei minimamente avuto il coraggio di procedere nella direzione della scrittura se non avessi avuto un'esperienza così importante alle spalle.

Scrivere liriche ti aiuta a sintetizzare, cercare una scorrevolezza espressiva e fonetica che a mio avviso è quanto di più importante per uno scrittore.
Ora però ne ho piene le palle di scrivere al pc (lo sto facendo da troppo tempo).
Chiudo i battenti e me ne vado a portare il "cervello all'ammasso" (come dice mio padre) accendendo la televisione.
A presto.

venerdì 1 gennaio 2010

Cervello mio, che stai sulla collina...

Lo zio di mia moglie ha compiuto 100 anni.
Hanno fatto una grande festa, un pranzo di diverse portate.
C'era pure la televisione locale, tutti i parenti più stretti.
Ovvimente lo zio non è in splendide condizioni di salute e anche a livello mentale il "centino" sulle spalle si sente tutto, a quanto mi dicono.

Immagino quanto sia bello arrivare a quell'età con la testa di un trent'enne.
Ricordare tutto nei minimi particolari, dare sfoggio della propria esperienza ed elaborare soluzioni per qualsiasi tipo di problema.
100 anni sono un'enormità.
Ricordarsi della crisi del '29 e paragonarla a quella che stiamo vivendo.
Ricordarsi della prima guerra mondiale, della seconda, della guerra fredda.
Della rivoluzione d'ottobre.
Della crisi dei Caraibi, del Watergate.
Di Mussolini e della nascita della Repubblica.
Del boom economico, delle prime automobili.
Tutto in prima persona, da adulto con la testa bella viva.
Invecchiare non mi fa paura per nulla, anzi.
Il problema è non accorgersi che la mente fa i capricci, che i ricordi scompaiono
Che la memoria si appanna.
Questo si che mi angoscia, mica i 100 anni.
 
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