lunedì 28 febbraio 2011

Downshifting per me, per voi, per tutti.






Nei paesi anglosassoni dicono che si stia diffondendo in maniera sempre più massiccia coinvolgendo soprattutto professionisti di livello medio-alto e lavoratori con carichi di responsabilità sopra la norma.
Ora sembra che anche in Italia ci sia una tendenza a questo tipo di comportamento.
Si chiama downshifting, e significa letteralmente "scalare marcia", ridurre la velocità, riprendere a respirare.
Ci hanno insegnato che non bisogna mai stare fermi, che bisogna correre.
Che bisogna aumentare il ritmo, non accontentarsi mai.
Che tutti gli sforzi saranno retribuiti profumatamente.
Che le percentuali da raggiungere sono da raggiungere, sennò che cazzo di obiettivi sono?

Il downshifting parte proprio da qui.
Lavorare meno, tirarare il fiato.
Certo, la cosa si traduce in minori entrate economiche ma dopotutto abbiamo proprio bisogno dell'abbonamento alla pay tv? Dell'ultimo modello di cellulare?
Delle vacamze per forza di almeno due settimane in posti esotici?

Fare downshifting non significa abbandonare tutto e scappare in montagna a fare l'eremita.
Non significa filosofeggiare e vivere con la testa tra le nuvole.
Significa riprendere il discorso della propria vita in mano, cercare di godersi la propria esistenza e non utilizzare semplicemente il tempo libero per recuperare dalle batoste delle giornate lavorative.
Penso che inizierò a pensarci seriamente.
Il mio apparato digestivo, il mio sistema nervoso, il mio corpo me lo stanno chiedendo.
E io darò loro ascolto.

- Postato con Blogpress da iPad

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