mercoledì 13 gennaio 2010

Niente sconti, nessun prigioniero, cazzotti nello stomaco e coraggio narrativo


Da circa due settimane sto facendo un lavoraccio infame.
Ho ripreso tutto il libro (al momento circa 120 pagine formato A4) cambiando tutti i tempi verbali, passo dopo passo.
Inizialmente avevo pensato che un'alternanza di presente e passato prossimo fosse la soluzione migliore, non accorgendomi del fatto che tutto gli avvenimenti sono "raccontati" dal protagonista, quindi si tratta sostanzialmente di un corposo nucleo di flashback (a volte a ritroso).
Ho deciso quindi di utilizzare un'alternanza di passato remoto e passato prossimo, anche in funzione del tipo di approccio narrativo che ho deciso di sviluppare.
Infatti tutto quando è raccontato non "da un osservatore esterno" ma "dallo stesso protagonista" e questa impostazione facilita l'utilizzo del passato remoto in termini di INCISIVITA'.
Ovviamente non sono io a dirlo, mi limito a prendere atto di alcune posizioni tecnico-stilistiche che ho rivisto in alcuni libri che mi hanno convinto.
E poi sono sicuro di una cosa: per scrivere un buon libro bisogna scrivere quello si vuole leggere.
Il libro che mi piacerebbe scrivere non esiste? ok, lo scrivo io.
Inizialmente pensavo che qualche "piccola concessione alla platea" fosse necessaria.
Ora penso che il contrario: per piacere a qualcuno bisogna essere puri, guardare se stessi e scrivere il libro che si vorrebbe leggere.
Niente sconti, non si fanno prigionieri, cazzotti nello stomaco e tanto coraggio narrativo.
Ecco i quattro comandamenti che sto seguendo.
Avanti così, cazzo.

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